Stampa questa pagina

La vendemmia

            E’ giovedì, secondo giorno settimanale di passeggiata. E’ un bel pomeriggio autunnale. Ci troviamo a percorrere una carrabile sterrata in direzione della contrada ‘ La Nave’. Il sole scotta ancora, gli andiamo incontro e ci acceca.  

Camminiamo a gruppi, vociando allegramente. Alle nostre spalle il monte Corneta, davanti a noi ma in lontananza le dolci colline di Foiano della Chiana. Oggi siamo particolarmente contenti: siamo stati invitati ad una vendemmia.  

Qui nella Val di Chiana la vite viene fatta arrampicare sui pioppi piantati ai margini dei canali di scolo, tracciati a mo’ di rete, che disegna a grandi rettangoli la piana. Si dice che la Val di Chiana appartenga a due grandi latifondisti. I latifondi, a loro volta, sono divisi in grandi unità produttive di qualche ettaro ciascuna. Ogni unità è data in colonìa ad una famiglia di contadini che vivono in grandi cascinali affiancati da stalle dove vengono allevati grandi bovini dalle lunghe corna: i buoi destinati a trainare l’aratro, le mucche riservate alla produzione di vitelli e di latte. La terra è molto fertile: produce in prevalenza grano e mais. Quello che colpisce particolarmente me, abituato alla campagna tortorese fatta di piccoli fondi in cui gli alberi da frutta contendono lo spazio alle altre coltivazioni, è la grande estensione di ogni appezzamento in cui ogni rettangolo è equivalente all’estensione di Castrocucco. Mentre da noi i contadini conducono un vita magra, qui stanno bene e godono di un certo benessere, sono tutti comunisti dichiarati ma credenti, direi pure devoti. Questo spiega il loro invito alla vendemmia per noi.  

Arriviamo in un grande spiazzo: da un lato il cascinale con le stalle, dall’altro lato una fila di pagliai, al centro un grande tino sormontato da una capiente pigiatrice. Un uomo gira la manovella, delle donne svuotano nella tramoggia le corbe ricolme di grappoli, scaricate dai carri che provengono dai campi. L’odore del mosto appena ricopre l’acre olezzo che proviene dalle stalle. A parte ci sono due corbe traboccanti di grossi grappoli di uva bianca e di uva nera. Sono per noi. Ne prendiamo e mangiamo, dapprima in silenzio, poi sempre più allegri e scherzosi. Finiamo per scagliarci chicchi l’un l’altro. I contadini ci guardano felici e sorridenti. Il cortile risuona dei gridolini gioiosi di tutti i miei compagni, sopra di tutti i ‘babbino, babbino!’ di Santini, invocazione con la quale reagisce nei momenti di paura ma anche agli scherzi. La madre è morta alla sua nascita, lo ha allevato il padre. 

Ringraziata la generosità di quelle buone persone, ritorniamo al Rivaio.

 

 

Ultima modifica il Martedì, 19 Agosto 2014 20:36