Questa raccolta di brevi racconti vuole essere il primo tentativo di creare una letteratura dialettale tortorese nella speranza che il testimone sia raccolto da altri.
Sono aneddoti verosimilmente accaduti, elaborati dalla fantasia popolare e tramandati oralmente con le aggiunte o con le probabili esagerazioni apporto di ogni singolo narratore.
Ascoltati attorno al focolare o rievocati da amici e parenti sotto forma di barzellette vissute, sono concisi aneddoti che ho cercato di elaborare con l’aggiunta di antefatti, ambientazioni e dialoghi senza intaccarne le linee essenziali.
In essi emergono figure di popolani nella loro scarna essenzialità caratteriale. Si tratta di uomini e donne, veri o immaginari non importa, che sorgono da un passato più o meno lontano con la loro vita e con la loro vena umoristica che sembra sollevarli dalla loro situazione esistenziale in alcuni casi travagliata da privazioni fisiche, economiche e morali.
Lo spaccone che, contrariamente al solito, esce vincitore e sano e salvo da una brutta avventura. Il furbo, che rimane fregato proprio dalla sua trovata, ma anche il furbo che vive di espedienti a danno degli altri. L’ingenuo vittima degli imbrogli o dei tiri birboni degli altri. Il distratto che combina pasticci di cui ha la fortuna di non subire le spiacevoli conseguenze. Il superstizioso che, anche se forte ed esperto in tutte le attività della vita, cade vittima di disavventure proprio a causa della sua superstizione. Il presuntuoso, che vuole erigersi al di sopra degli altri, ma che si espone a brutte figure. Il fissato, vittima delle sue fisime e manie, che gli impongono a volte delle dolorose rinunce. Il goloso, a volte martire del suo vizio, altre volte zimbello degli altri a causa di questa sua debolezza.
Affiorano anche alcune usanze di una società contadina: L’assunzione di lavoranti agricoli a giornata con vitto a carico proprio o a carico del datore di lavoro. La pratica della macellazione domestica dei maiali, rito dei grandi, ma anche spettacolo per bambini e ragazzi.
Traspaiono le credenze proprie di una mentalità popolana: La religiosità, da quella autentica a quella permeata di superstizione. L’atteggiamento verso i defunti, che, da una parte è continuazione di affetti, da un’altra parte è timore, da un’altra ancora è scetticismo verso una qualsiasi forma di sopravvivenza.
Sullo sfondo delle situazioni comiche appare il dramma della cronica scarsità alimentare con i sogni di abbuffate, le fatiche per guadagnarsi da vivere onestamente e i sotterfugi per procurarsi pasti a sbafo.
Fra i tanti racconti che mi si sono affacciati alla memoria o che mi sono stati proposti, la mia scelta è caduta prima di tutto su quelli umoristici, sia per mia inclinazione personale a cogliere l’aspetto frizzante delle situazioni, sia per rimarcare una delle caratteristiche dei Tortoresi portati per loro natura alle celie e alle burle per lo più bonarie, segno della loro voglia di vivere piacevolmente le relazioni sociali. In secondo luogo la mia scelta si è indirizzata verso le storielle pulite che possano essere oggetto di lettura anche da parte di ragazzi in età scolastica.
Dove ho potuto ho cercato di arricchire i racconti con dialoghi per facilitarne la rappresentazione teatrale, sia in ambito scolastico, sia in ambienti estrascolastici ad uso di compagnie di spettacolo che auspico si costituiscano per avvivare la vita culturale della comunità.
Ringrazio in particolare per i loro preziosi apporti Biagio Moliterni (per i suoi 10 racconti), Giovanni Laino (7 racconti), Giuseppe Cozza (5 racconti), Mario Droghini (5 racconti), Sandrino Ponzi (3 racconti), Peppino Maceri (2 racconti), Vito Mandarano (1 racconto), Donato Moles (1 racconto) e Angelo Pucci mio fratello (3 racconti). Ringrazio anche Giuseppe Limongi, fine ceramista, autore delle vignette illustranti alcuni racconti.
Vedi anche: origini del dialetto tortorese; parentele; grammatica; etimologie.