Fino agli anni ’40, la preparazione allo sposalizio cominciava nella bottega del sarto e a casa della sarta che provvedevano al confezionamento rispettivamente del vestito dello sposo e della sposa, con la lettura dall’altare delle pubblicazioni in chiesa da parte del celebrante nelle messa solenne della domenica precedente, con la lavorazione e cottura dei biscotti intrecciati (taràddi) e dei biscotti friabili (pastélli), con l’acquisto dei confetti, con la scelta della casa dove gli sposi avrebbero tenuto il festino dopo la cerimonia in chiesa, la raccolta delle sedie per gli invitati, da sistemare nella casa scelta qualche giorno prima le nozze.
Nel giorno stabilito per lo sposalizio, gli sposi, ognuno a casa propria, indossavano il vestito. All’approssimarsi dell’ora convenuta, lo sposo, dopo il saluto e l’abbraccio della madre, si recava sotto la casa della sposa dove già si erano radunati gli invitati. La sposa, salutata e abbracciata la madre, scendeva in strada dove si formava il corteo nuziale a coppie. La prima era formata dalla sposa al braccio del padrino di matrimonio (cumbòari), la seconda dallo sposo che porgeva il braccio alla madrina (cummòari), la terza dal padre dello sposo che porgeva il braccio alla madre della sposa, la quarta dalla madre dello sposo al braccio del padre della sposa. Seguivano ad libitum le altre coppie di sposati. Le signorine facevano coppia con un parente anche se fidanzate. In mancanza del padre, la sposa faceva coppia con un fratello, di solito il maggiore o, in mancanza di fratelli, con il parente più vicino.
Compiuta la cerimonia in chiesa, il corteo si avviava alla casa preparata per il festino nello stesso ordine dell’andata con l’unica variante dello sposo che passava avanti e, finalmente, poteva dare il braccio alla sposa, mentre il compare passava dietro a dare il braccio alla comare.
Durante il percorso, sposi e invitati venivano ’mitragliati’ da manciate di monetine e di confetti, con nugoli di ragazzini che si lanciavano tra i piedi degli sposi e degli invitati per raccoglierli, scompigliando il corteo.
Nel corso del festino venivano distribuiti da volontari che giravano tra gli invitati con vassoi ricolmi, il primo giro di taràddi, il secondo giro di pastélli, il terzo giro di cumbìetti. Da bere passavano dei vassoi pieni di minuscoli bicchierini di rosolio.
Al rinfresco seguivano balli tradizionali, tarantelle, valzer, ecc. accompagnati da un batterista che con due cucchiai batteva il ritmo su una bottiglia tenuta stretta per la lunghezza tra le due ginocchia.
Riscaldati dal vino i ballerini continuavano così fino a sera tardi, quando, a mezzanotte, gli sposi erano accompagnati al loro nido per la prima notte d’amore, tra i canti ormai sguaiati e i lazzi degli amici e parenti.
Michelangelo Pucci