Attrezzi: l’aréatru (per arare), la zàppa (per dissodare la terra e tracciare solchi), la zappùdda (zappa più piccola per lavori più leggeri); lu zappùddu (con un taglio più largo ed, opposto, un taglio più stretto, per diserbare l’orto), lu bidéndi (per dissodare un terreno pietroso), lu grastìeddu (il rastrello), lu furcùni (1° con i rebbi in ferro per spostare lo stabbio o la paglia o ul fieno; 2° con i rebbi in legno, attrezzo dell’aia), lu zippòni (il ceppo per trebbiare), la fàvuci (la falce), la favucétta (il falcetto), lu favuciùni (la falce da fieno), la rùnga (la roncola), la sc’còcca (lunga canna, spaccata all’estremità in quattro strisce tenute allargate da un tappo, per raccogliere frutta da terra); lu crùocchju (rampino per abbassare i rami del fico e per raccoglierne i frutti)).
Attività: coltivare la terra; produrre cereali, ortaggi e frutta; zappare, seminare, piantare, irrigare (adacquéa’), raccogliere i prodotti, prepararli per la conservazione.
Operatori; lu gualéanu (figura professionale dell’aratore in possesso di una coppia di buoi e di un aratro, che, a pagamento, è ingaggiato a giornata dagli agricoltori per l’aratura dei loro campi); lu zappatùru (bracciante agricolo a giornata specializzato a dissodare la terra con la zappa pesante); lu siminatùru (che spargeva il seme dei cereali al seguito dell’aratore), lu putatùru (figura professionale specializzata nell’attività di potatura degli alberi da frutto, dei cedri e della vite); lu nzitatùru (figura professionale specializzata negli innesti degli alberi da frutto e della vite); lu chjicatùru (specializzato nella potatura dei cedri e nell’arte di piegare orizzontalmente i rami da frutto degli stessi e nel legarli con vimini di salice al pergolato); dd’ùommini (braccianti agricoli a giornata), li fìemmini (assunte a giornata per la mondatura degli orti e dei campi di cereali, per la raccolta e la lavorazione dei prodotti da conservare per l’inverno);
Gli uomini e le donne a giornate erano assunti in due modalità: o ‘anni spìsi’ (la paga comprendeva, oltre al salario, la fornitura da parte del datore di lavoro di tre pasti durante la giornata lavorativa dall’alba al tramonto: il primo, ‘lu ruppidijùnu’ in corrispondenza delle ore 9, il secondo, più sostanzioso, verso le ore 12, il terzo, più leggero, verso le ore 16); o ‘ànna scàrsa’ (col pagamento del solo salario; i pasti erano a carico del lavoratore che se li portava nello ‘stiavùccu’; in questo, di solito, c’era ‘nu scutruzzìeddu’ con la pasta, e per secondo una mezza pagnotta svuotata della mollica e ripiena di una frittura di patate e peperoni con uovo alla stracciatella, tamponata con la stessa mollica).
Durante l’estate le donne (anche ragazze e ragazzi) erano impegnate nelle attività di essiccazione delle melanzane affettate, delle zucchine affettate, dei peperoni infilzati per il peduncolo in uno spago a corona (mbiléa’ li zafaréani) , delle prugne intere, delle pesche affettate, dei fichi interi o spaccati (sicchéa’ li fìchi). Un impegno a parte era richiesto dalla preparazione della salsa di pomodoro da essiccare al sole o da conservare in bottiglie da bollire a loro volta in grandi contenitori. Altri lavori: togliere le spoglie alle spighe di granturco (spuglijòa’ li spichi); sgranare il granturco (scucciulòa’ lu granijéanu); sbaccellare i fagioli (scucciulòa’ li fasùli); mondare dalle erbacce l’orto (munnòa’ dd’ùortu); preparare con sbollentatura, marinatura in sale, aceto e aromi ortaggi o pesci e metterli sotto peso in vasetti (féa’ li cugnetti)
Michelangelo Pucci