Nel 1266 l’esercito angioino attraversò il fiume Liri per prendere possesso del regno.
Nel 1268 nella battaglia di Tagliacozzo Carlo sconfisse Corradino, giustiziato poco più di due mesi dopo. La conquista del regno a mano armata gli richiese oltre 10 anni di guerra nel corso della quale i soldati francesi si abbandonarono ad inaudite violenze contro chiunque sembrasse loro resistere. A mano a mano che Carlo avanzava confiscava i beni non solo dei ribelli ma anche di coloro che non gli dimostravano piena devozione, privandoli dei feudi e sostituendoli con suoi fedelissimi.
Nel 1279 aveva completato la conquista di tutti i castellani calabresi, che gravò di insostenibili oneri fiscali. Fu proprio questa esosità che gli rivoltò contro i Siciliani che nel 1282 (Vespri siciliani) gli si rivoltarono e fu costretto ad abbandonare l’isola, che non riuscì più a recuperare.
Chiamati dai Siciliani, gli Aragonesi, al comando di Ruggiero di Lauria di origine normanna, lo attaccarono anche sul continente occupando posizioni strategiche come Reggio, i passi di Galdo e di Campotenese e la piana di Castrovillari. La defezione di molti centri tirrenici, tra i quali Scalea, Cetraro, S. Lucido e Amantea, che chiesero e ottennero aiuto a Ruggiero di Lauria, era il segno di una insofferenza generale e profonda verso l’avidità degli Angioini.
Nel 1300 questi riuscirono ad aver ragione dei nemici, tutta la Calabria fu sottomessa e Roberto D’Angiò fu nominato Duca di Calabria.
Nel corso del XIV e della prima metà del XV secolo la dinastia ebbe una vita piuttosto travagliata non tanto per i rapporti con i feudatari, quanto per contrasti interni tra i tre rami della famiglia per motivi di successione. Un primo scontro si ebbe dopo l’assassinio di Andrea d’Ungheria (1345), che vide prevalere il ramo di Durazzo con l’insediamento (1381) di Carlo III sul trono di Napoli. Alla morte di questi (1386) un secondo scontro vide ancora prevalere il ramo Durazzo con Ladislao. Alla morte di lui (1414) il trono passò alla sorella Giovanna II. Con lei la dinastia si estinse (1435) e il trono passò ad Alfonso di Aragona da lei adottato. In questo modo il regno di Sicilia e quello di Napoli si riunirono.
Nel 1347 una calamità naturale sconvolse le coste tirreniche del regno. Un maremoto si abbatté su tutte le marine della Campania e della Calabria, compresa quella di Tortora, arrecando distruzione e morte (Archivio parrocchiale di Tortora - vedi in G. Celico, 'Santi e briganti del Mercurion', pag. 22 - Editur Calabria 2002)
A Tortora le ripercussioni delle vicende angioine non mancarono di essere avvertite fin dall’inizio.
Anzitutto la famiglia Cifone, sospettata di non piena fedeltà agli Angioini, fu privata del possesso del feudo che passò a Riccardo di Lauria. Per tutto il periodo angioino il feudo tortorese rimase in mano alla famiglia Lauria: Ruggiero, Ruggiero Berengario, Roberto e Tommaso, l’ultimo feudatario della famiglia a Tortora (1496).
Nel 1276 il paese contava una popolazione di soli 538 abitanti ed era tassato di 10 once, 22 tarì, 16 grani.
Nel 1326 Tortora pagava la decima al clero di Aieta, con tutto che aveva un clero proprio con quattro chiese: il Purgatorio, S. Sofia, S. Vito e S. Sebastiano.
Ricordo di questo periodo sono i termini tortoresi che derivano da etimi francesi.
(Per maggiori approfondimenti vedi ‘Storia della Calabria medievale’, pag. 185-255 – Gangemi Editore; Amedeo Fulco, ‘Memorie storiche di Tortora’, pag. 47-52 – Rubbettino Editore 2002)
Michelangelo Pucci