Il porto-canale
Pro e contro
Già nel Piano Regolatore N° 1288 del 14.06.1979 era previsto un porto-canale, abbastanza ambizioso, lungo l’ultimo tratto del fiume Noce, dalla ferrovia fino alla foce. In sé l’idea era ed è ottima per gli sviluppi che da un’opera del genere ci si aspetterebbe, sia dalle attività portuali sia dall’indotto. Da decenni un Plastico, che ne riproduce il progetto, fa bella mostra di sé nella Sala Consiliare del Comune e ha fatto sognare tutti quei cittadini che ci avevano creduto e sperato. Diciamo subito che il progetto, già nella fase di ideazione, è partito con una grossa limitazione: la sua esclusiva destinazione turistica. Questa limitazione avrebbe comportato un uso solo stagionale della struttura con un boom, si sperava, nei mesi di luglio ed agosto e un periodo morto di una decina di mesi. Il limitato introito non avrebbe coperto le grosse spese di gestione dell’impianto.
L’opera avrebbe conferito al nostro territorio un’immagine di facciata di cui far bella mostra nella pubblicistica, quasi uno “status simbol” del paese, ma non sarebbe diventato un investimento improduttivo e il suo fallimento non avrebbe evidenziato e reso più amaro il disutile dei danni ambientali ed ecologici che un opera del genere immancabilmente implica?
Per non dare a questo quesito risposte avventate e preconcette, occorre analizzare gli esiti di opere similari e a noi vicine, quali i porti di Cetraro, Maratea, Sapri e altri. Solo alla luce dei risultati di una indagine approfondita e allargata sui costi e sui benefici economici, sociali, ecologici ed ambientali, si possono operare scelte responsabili. Il porto per non essere un carico passivo alle spalle degli Enti pubblici e, in definitiva, della collettività, ma per essere una struttura produttiva di valore aggiunto ed essere il motore di lancio e di sostegno dell’economia del paese deve essere operante ed in attività tutto l’anno. Deve essere pensato e progettato soprattutto in chiave industriale e commerciale.
Il porto si vitalizza se alle sue spalle è attiva una cantieristica adeguata sia alla produzione sia alla riparazione di imbarcazioni e prospera se diventa punto di sbarco, di immagazzinamento, di lavorazione e di spedizione via terra di merci. Per respirare a pieni polmoni questo porto avrebbe bisogno di arterie ferroviarie e stradali potenziate sì da poter servire con celerità ed efficienza un ampio entroterra sviluppato economicamente. Occorrerebbe un tronco ferroviario di allacciamento al Vallo Diano, un tronco ferroviario di collegamento con la stazione di Praia a Mare, il raddoppio e l’ammodernamento della SS 585 diventata, per il suo tracciato insidioso e ad unica carreggiata, la strada della morte, tristamente inaugurata, prima ancora della sua apertura ufficiale, dalla immatura scomparsa di due giovani: uno tortorese e uno praiese, e da allora numerose ogni anno sono state le vite stroncate sul suo percorso.
La costruzione di un porto deve essere dunque concomitante con una politica di sviluppo di un territorio sufficientemente vasto, che costituisca il bacino di utenza da cui parta e che sostenga la domanda di beni e servizi. Ciò rende evidente la necessità che il progetto e la realizzazione del porto si presenti come opera non di un solo Comune, ma di un Comprensorio territoriale il più vasto possibile. Il 7-8 ottobre 2000, sotto il patrocinio della Regione Calabria e dei Comuni di Praia a Mare e di Tortora, si è tenuto nella sala consiliare del Comune di Praia un convegno sul tema: “Attività portuali e sviluppo economico dell’area costiera del Tirreno cosentino“. Nelle varie relazioni, più o meno esplicitamente, si è affermata la necessità di pensare alla realizzazione del porto come ad un motore di sviluppo economico e di coinvolgervi una pluralità di Comuni. Più marcati in tal senso gli interventi del Sindaco di Tortora, ing. Pasquale Lamboglia, del prof. Nicola Assini dell’Università di Firenze e dell’ing. Egidio Cantisani. L’unico limite rilevato nel dibattito del convegno è l’aver ristretto il discorso quasi unicamente all’idea di un porto turistico. Quest’idea è discussa e sviluppata, per incarico del Comune di Tortora, anche nell’ “Analisi preliminare di fattibilità tecnico-economica” dagli ingegneri Leopoldo Franco e Gianluca Cantisani del gennaio 2002. In essa sono formulate e prese in esame tre ipotesi:
1) Un approdo stagionale esterno amovibile, posizionato a 200 metri dalla riva, con pianta simmetrica di tipo a balestra, realizzato con cassoncini cellulari galleggianti, da collocare all’inizio dell’estate e da rimuovere a fine stagione.
2) Un porto con bacino interno e con imboccatura richiudibile e da dragare periodicamente, poiché, in assenza di un molo esterno, sarebbe soggetta ad essere ostruita da depositi sabbiosi sia per effetto delle mareggiate, sia in conseguenza delle piene del fiume.
3) Un porto a secco, con pontile su pali e sistema “Albatros” per il trasferimento delle imbarcazioni dall’acqua al piazzale e viceversa. Il sistema prevede il parcheggio e la custodia dei natanti sulla terraferma, dove si muoverebbero su carrelli scorrenti su binari.
Questo studio si è rivelato utilissimo e interessantissimo sia per le soluzioni tecniche proposte, sia, nell’aspetto finanziario, per le previsioni di spesa. Ma si tratta solo di un porticciolo turistico e, forse, poco pratico, che richiede un grosso finanziamento e prevede grosse spese di gestione e manutenzione. Per essere produttivo il costo annuale del “posto barca” dovrebbe essere pari o superiore al prezzo d’acquisto della barca stessa. Per gli utenti sarebbe più economico l’acquisto di natanti “usa e getta” a fine stagione! Comunque, ci vuole ben altro per attivare e sostenere lo sviluppo di un territorio! Se l’opera è tecnicamente possibile e si può e si vuole affrontare la spesa per attuarla, tanto vale costruire un porto commerciale e industriale, con possibilità di uso anche turistico, che sia il perno di attività diversificate e produttive, il cui valore aggiunto sia tale che, non solo copra le spese di gestione della struttura, ma sia in grado di assicurare un reddito costante e sicuro per il maggior numero possibile di persone. Questo tipo di sviluppo implica però il rischio di un forte ridimensionamento della vocazione della Marina di Tortora come luogo di villeggiatura marina. Un suo fallimento verrebbe a privare il paese di una risorsa di cui già fruisce. La presenza di un porto ridurrebbe il già poco spazio (appena 2000 metri di spiaggia) destinato alla balneazione, che diventerebbe non salutare per l’inevitabile inquinamento del mare e della spiaggia prodotto dalle attività portuali, a meno che, se possibile tecnicamente ed economicamente conveniente, in fase di progettazione e di realizzazione di esso non si preveda e non si metta in atto un sistema di riduzione alla fonte delle sostanze inquinanti e della loro totale eliminazione prima dell’immissione in mare. La sana balneabilità della spiaggia, oltre ad essere una fonte di buona salute per tutti, è anche una risorsa economica sia per gli operatori dei servizi (hotels, camping, lidi attrezzati, ecc.) sia per tutti quei comuni cittadini, che praticando il fitto estivo di case ai bagnanti forestieri, complessivamente beneficiano direttamente di un reddito quantificabile, con approssimazione, in alcuni milioni di euro all’anno. Questo è un aspetto che bisogna tener presente e non mortificare, anche nel caso ci sia la possibilità di realizzare strutture più ambiziose e certamente più qualificanti ed auspicabili sia sul piano economico, sia su quello dell’immagine.
Il perseguire l’idea di un porto turistico non mi sembra utile.
Se si vuole solamente un attracco estivo per imbarcazioni da diporto, tanto vale realizzare a 100-150 metri dalla spiaggia una scogliera artificiale, si prenderebbero due piccioni con una fava. Con un’unica spesa difenderemmo dall’erosione la spiaggia e avremmo un attracco per le barche nel periodo estivo.
Michelangelo Pucci