I monasteri
Le figure più note di anacoreti furono Antonio e Girolamo.
Il fondatore del cenobitismo fu Pacomio che nel 320 fondò il primo monastero a Tebennisi sulle rive del Nilo.
La prima regola fu dettata da Basilio di Cesarea. I monasteri basiliani si diffusero in Oriente, in Grecia, in Sicilia e Italia Meridionale.
In Occidente si affermarono due regole: quella dell'irlandese-celto Colombiano con irradiazioni in Germania, Svizzera e Italia; e quella del romano-italico Benedetto da Norcia, con irradiazioni in Italia, Inghilterra, Paesi Bassi, Scandinavia, Germania e Francia. Nella prima prevaleva il rigore ascetico e il lavoro di cultura: la trascizione di codici. La seconda era più moderata per il rigore ascetico, ma era più organica nel definire preghiera comune e lavoro con finalità sociali, compreso il lavoro manuale.
Il monachesimo benedettino ebbe origine nel 529 a Montecassino, Terracina, Subiaco. Ancora vivente Benedetto, ebbe larga diffusione in Italia. Sotto il pontificato di Gregorio Magno ebbe inizio la diffusione in Europa a cominciare dall'Inghilterra, proseguendo sotto il pontificato di Bonifacio in Germania , nei Paesi Bassi e in Scandinavia.
Dopo un periodo di progressiva decadenza rifiorì a Cluny (910), con il ritorno alla purezza della regola benedettina. Diversi adattamenti alla regola diedero origine a diverse congregazioni (di Camaldoli, di Vallombrosa, di Montevergine, dei Silvestrini, dei Celestini, degli Olivetani). Successivi rilassamenti della regola provocarono la riforma dei Cistercensi (1098) e infine nel 1599 dei Trappisti o Cistercensi riformati.
La regola benedettina abbandona il principio orientale della fuga dal mondo e dell'autopunizione per meritare il perdono di Dio. Impone invece il servizio di Dio nelle tre forme della preghiera, dell'attività manuale e di quella intellettuale, strumenti diversi di santificazione e di amore al prossimo.
Essa comanda l'umanità: non ordina l'impossibile, ordina di aver riguardo al fratello infermo, toglie alla fatica il carattere punitivo ed espiatorio, ordina di mettere i beni in comune, chiede a ciascuno di lavorare secondo le sue possibilità e distribuisce i prodotti secondo i bisogni di ognuno (Agasso: Storia d'Italia -Mondadori - pag. 152).
Mentre il monachesimo orientale non dava importanza al tempo , Benedetto invece lo rivaluta come una ricchezza da investire oculatamente in certi modi all'unico fine della perfezione. Per lui non esistono ore vuote, da dissipare a piacimento: egli fonda tutto sulla stabilitas: con la comunità fissata stabilmente in un luogo e il monaco fissato alla comunità. Il monaco lavora, prega, si riposa secondo un ritmo prestabilito che non richiede eroismo ma perseveranza, un ritmo umano, ma appunto per questo da rispettare rigorosamente. La giornata del monaco seguiva la cadenza tradizionale , ereditata da Roma, di tre ore in tre ore: mattutino (mezzanotte), laudi (ore tre), prima (ore sei), terza (ore nove), sesta (ore 12, mezzogiorno), nona (ore quindici), vespri (ore diciotto), compieta (ore ventuno). Il dì e la notte erano sempre ciascuna di dodici ore: l'ora però era di durata variabile: le ore notturne più lunghe d'inverno e più brevi d'estate, quelle diurne al contrario più brevi d'inverno e più lunghe d'estate (ibid.pag.154).
L'idea fondamentale era che il monastero dovesse bastare a sé stesso, formare un sistema economico completo e una società vivente a sé, autonoma, sotto l'autorità paterna, ma assoluta, dell'abate.
Il monastero costituiva una unità economica la cui base era la proprietà e il lavoro: la proprietà, acquisita o con la semplice occupazione di terreni nullius, o a seguito di donazioni; il lavoro, quello dei monaci e quello dei coloni accorsi spontaneamente o donati insieme con le terre. Il terreno intorno al monastero veniva disboscato, dissodato, e ridotto ad orto, a frutteto, a campo (Salvatorelli, ibid, pag.152).