La lunga storia della Grotta della Madonna di Praia a Mare
Formazione geologica
La grande cavità ha un’origine carsica che risale all’ultima era geologica. In un’epoca di prolungate piogge acide torrenziali o di scioglimento dei ghiacci, millennio dopo millennio, l’acqua filtra abbondante nel sottosuolo calcareo sciogliendo ed erodendo le rocce. L’acqua si scava così dei cunicoli originando dei torrenti sotterranei. Nei punti in cui la pietra è più tenera i meandri si allargano formando delle cavità. La forza della corrente e i vortici che si creano in esse contribuiscono ad allargarle fino a formare nel corso di qualche milione di anni delle grotte immense. Una di queste è quella della Madonna. Per lunghe centinaia di millenni la cavità della grotta di Praia probabilmente è rimasta un immenso serbatoio, interno alla roccia calcarea, senza comunicazione con l’esterno se non attraverso un piccolo sifone che alimentava una qualche sorgente d’acqua dolce. Nei millenni successivi il sollevamento di natura bradisismica e l’azione demolitrice del moto ondoso o di maremoti hanno provocato, nei tempi lunghi, lo scalzamento e il crollo della scarpata della collina e il suo inabissamento in mare. Al suo posto è rimasta una falesia che ha tagliato tre bracci della cavità, attuali aperture della grotta.
Rimasta all’asciutto per lo svuotamento del bacino interno, la grotta è restata, molto probabilmente, per altri millenni inaccessibile. Successivi nuovi crolli dalla parte superiore della falesia creano una scarpata che facilita l’arrampicata fino all’apertura nord e a quella centrale.
Frequentazione umana
Circa 12.000 anni a.C., nel periodo del paleolitico superiore, la caverna di Praia comincia ad essere frequentata dall’uomo.
Indagini archeologiche
La frequentazione è documentata dai reperti dello scavo archeologico, condotto con rigorosa metodologia, effettuato tra il 1957 e il 1970 da Luigi Cardini, che ne ha prodotto una concisa relazione nell'articolo: Praia a Mare. Relazione degli scavi 1957-1970 dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, in “Bullettino Paletnologico Italiano”, n.s., Vol.79, 1970, pp.31-39.
Nello scavo, della profondità di circa 8 metri, sono stati rilevati 11 livelli contrassegnati dal Cardini con le lettere maiuscole dell’alfabeto, dalla M, che indica il livello più profondo, alla A, che indica quello più superficiale.
Il livello M è costituito da uno strato di argilla archeologicamente sterile ed è databile anteriormente ai 12.000 anni a.C..
Il livello L, definito basale, ha restituito i primi reperti riferibili ad attività umane. Si tratta di un’industria litica costituita da 20 strumenti (bulini, grattatoi, lame, punte, geometrici), tipica del paleolititico superiore (12.000 – 9.000 anni a.C.), precisamente dell’epigravettiano (11.000 – 9.000 anni a.C.). Unitamente a questi strumenti, nel livello L vengono rinvenuti resti faunistici di animali di foresta (bue, cervo, capriolo, stambecco, cinghiale), di uccelli, pesci, molluschi terrestri e marini.
Frammisti agli altri resti sono stati trovati dei ciottoli dipinti, non si sa se per motivi religiosi o per scopi puramente ornamentali, precisamente: al taglio 59 un frammento di ciottolo dipinto a bande con ocra rossa; al taglio 50 un ciottolo a contorno ellissoidale dipinto con ocra rossa a bande parallele su una faccia e a motivi pettiniformi lungo il bordo sull’altra faccia; taglio 49 ciottolo appiattito con larghe fasce parallele di ocra rossa su entrambe le facce. Giuliano Cremonesi, Il Paleolitico, Storia della Calabria, vol. I: Storia della Calabria Antica, Gangemi Editore, Roma, 1987, pp. 28-35.
Il livello I ha restituito un’industria litica di manufatti su scheggia di dimensioni minori (raschiatoi, denticolati, incavi, grattatoi, bulini, in minor numero le punte e le lame), propria del mesolitico (9.000 – 8.000 anni a.C.). Tipici di questo livello sono dei ciottoli dipinti, esattamente: al taglio 46 un ciottolo di arenaria dipinto in bruno con sostanza bituminosa con schema antropomorfo del semicerchio attraversato al centro da un tratto verticale e segni bruni su entrambe le facce; al taglio 42 un ciottolo di arenaria dipinto alle due estremità con ocra rossa.
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Tra i tagli 45-43 è stata rinvenuta la sepoltura di un bambino con sul petto un cardium forato.
Per quanto riguarda la fauna, il livello I ha restituito dei resti di mammiferi di foresta (cinghiale, cervo, capriolo, di lepri e topi, scompare lo stambecco,), in minor quantità resti aviari soprattutto di passo e di molluschi terrestri, in maggiore quantità di molluschi marini. Ciò induce ad una riflessione: la diminuzione del consumo di un certo tipo di animali terrestri (mammiferi di grandi dimensioni, uccelli stanziali, molluschi della specie Helix Ligata) e di pesci adattati a climi freddi (salmo trutta che prospera in mari di scarsa salinità e alla temperatura compresa tra 5 e 10 gradi) e il contemporaneo aumento del consumo di animali terrestri di piccole dimensioni (lepri e topi), di uccelli di passo, di pesci adattati a climi temperati (trote), di molluschi marini di scogliera (patelle e monodonti) fa supporre un cambiamento climatico importante avvenuto a cavallo del paleolitico superiore e il mesolitico: il passaggio, cioè, da un clima freddo e umido ad un altro più caldo e asciutto che comporta anche un mutamento culturale. Giuliano Cremonesi, Il Paleolitico, Storia della Calabria, vol. I: Storia della Calabria Antica, Gangemi Editore, Roma, 1987, pp. 41-61.
Il livello H (VII-VI millennio a.C. – taglio 38-42), corrispondente alla prima fase del neolitico medio, ha restituito strumenti in ossidiana, un frammento ceramico stile stentinelliano, caratterizzato da decorazione impressa eseguita con punteruolo e altri rari frammenti di ceramica impressa del tipo di Favella della Corte. La presenza di ceramica fa supporre i primi rudimenti, in zona, di agricoltura. I contenitori di terracotta erano essenziali per la conservazione di alcuni prodotti agricoli (vino, olio, granaglie). Mentre la presenza di ossidiana fa pensare che in questo periodo le valli del Noce e del Sinni diventano la nuova via di commercio di questo minerale tra le Isole Eolie e la Puglia. Santo Tinè, Il Paleolitico, Storia della Calabria, vol. I: Storia della Calabria Antica, Gangemi Editore, Roma, 1987, pp. 41-61.
Il livello F (fine IV - inizio III millennio a.C.), corrispondente al neolitico superiore o recente, ha restituito frammenti di ceramica priva di decorazione con anse tubolari o a rocchetto in due stili: quello di Masseria Bellavista (Taranto) e quello di Diana (Lipari). Il primo di colore bruno-grigiastro, il secondo di colore rosso corallino. Questi ritrovamenti attestano contatti commerciali del nostro territorio da una parte con la Puglia e dall’altra con le isole Eolie. Santo Tinè: Il Neolitico in Storia della Calabria vol. I – Gangemi Editore – Roma – 1987 – pp. 41-61.
Al livello E, dal taglio 27 al taglio 16 (III-inizi II millennio a.C.), corrispondente alle fasi iniziali e centrali dell’Eneolitico, sono stati rinvenuti frammenti di ceramica dello stile di ‘Piano del Conte’ (Lipari), derivanti da vasellame ad uso domestico, cioè orcioli, ciotole carenate, scodelloni. Caratteristiche di questo stile sono le superfici brunastre, le decorazioni con solcature parallele poco profonde, distribuite sulla superficie esterna, a volte anche interna, e sul bordo Santo Tinè, Il Neolitico, Storia della Calabria, vol. I: Storia della Calabria Antica, Gangemi Editore, Roma, 1987, pp. 41-61).
Al livello D (II millennio a.C.), corrispondente all’ultimo periodo dell’Eneolitico e allo strato inferiore della grotticella Cardini, si sono trovati frammenti di vasellame della cultura del Gaudo (Paestum).
Al livello C (1600-900 a.C.), corrispondente all’Età del Bronzo, sono stati portati alla luce frammenti di ciotole carenate, esemplari di ceramica della cultura appenninica. Elementi distintivi di questi vasi sono i manici ad ansa sopraelevata a nastro con fori triangolari e la varia decorazione a motivi incisi: a bande, a punteggio e lineari, rettilinei e curvilinei, a meandro. Renato Peroni: “La Protostoria” in Storia della Calabria vol. I – Gangemi Editore – Roma – 1987 – pp. 72-75.
Il livello B (900-300 a.C.), corrispondente all’Età del Ferro, e lo strato inferiore del livello A (300 a.C.-400 d.C.), corrispondente ad un periodo storico a noi più vicino, recano testimonianze di frequentazione da parte di individui sicuramente appartenenti a popoli italici quali gli Enotri, i Lucani e gli Italico-Romani, con ogni probabilità a scopi cultuali.
Lo strato medio del livello A corrisponde al periodo di frequentazione da parte di eremiti cosiddetti basiliani (400-1100 circa d.C.) e di frequentazione da parte di pastori aietani che vi ricoveravano le greggi (1100-1300 d.C.). F.Colino R.Droghini, Il Santuario della Madonna della Grotta in Praia a Mare, Salviati, Milano, 2007.
Lo strato superiore del livello A corrisponde alla frequentazione della grotta per scopi religiosi e cultuali mariani. G. Celico, Il Santuario Rupestre della Madonna della Grotta di Praia, in Luoghi di Culto e di Mistero, Grafiche Zaccara snc, Lagonegro, 2003; F.Colino R.Droghini, Il Santuario della Madonna della Grotta in Praia a Mare, Salviati, Milano, 2007). In questo periodo la grotta è stata adibita a cimitero fino al terzo decennio del XX sec. Giuliano Cremonesi, Il Paleolitico, Storia della Calabria, vol. I: Storia della Calabria Antica, Gangemi Editore, Roma, 1987, pp. 29.
Michelangelo Pucci