I Lucani a Blanda

ricostruzione della tomba lucana n. 44 nel museo di Tortora ricostruzione della tomba lucana n. 44 nel museo di Tortora

I Lucani a Blanda

Etimologia
Fra le varie ipotesi etimologiche il nome 'Lucani' è fatto derivare dal greco 'lycòs' (lupo) o dal latino 'lucus' (bosco, radura nel bosco), ecc. ma la radice filologica più accreditata è l'indoeuropeo sanscrito 'luc' (che fa riferimento alla luce, a tutto ciò che è luminoso).

Origini
I
Lucani erano gruppi di popolazioni italiche, imparentate con i Sanniti, facenti parte dei popoli Sabellici. Originariamente erano stanziati nella regione appenninica dell’Italia centrale.

Diffusione territoriale 
 

Nel VII sec. a.C. si mettono in movimento verso le regioni più a sud sotto la spinta da nord degli Etruschi, ma anche per effetto dell’incremento demografico e della pratica del ‘ver sacrum[1]. Inizialmente dediti alla pastorizia e di indole bellicosa, nel corso del V secolo a.C. portano avanti una politica espansionistica insediandosi nella Campania meridionale, nell’attuale Basilicata e nella Calabria settentrionale, nel territorio degli Enotri. Attaccano Thurii, colonia panellenica fondata nel 445.
All’inizio del IV secolo a.C., sfociano nella valle del Sele impadronendosi delle colonie greche di Poseidonia, di Pissunte e di Laos, nella cui piana nel 389 a.C. sconfiggono un esercito italiota proveniente da Thurii. Giunti nel nostro territorio occupano i luoghi già sedi degli Enotri, da questi abbandonati già a metà del V sec. Fino a questo punto delle indagini archeologiche, dal 450 al 400 a.C., non risultano, infatti, tracce di insediamenti abitativi enotri in zona. Nel 356 all'interno della nazione lucana avviene una grande scissione per ribellione che dà origine al ceppo dei Brettii o Bruttii.


Rapporti con il mondo magno-greco e Roma
I Lucani, pur in conflitto con il mondo magno-greco, ne assorbono la civiltà acculturandosi, come provano i ruderi delle loro città e il ricco arredo tombale. In continua
espansione a danno delle colonie magno-greche, provocano l’intervento in Italia dello spartano Archidamo, ucciso nei pressi di Manduria nel 338 a.C, di Alessandro il Molosso, ucciso sotto Pandosia nel 330 a.C., dello spartano Cleonimo nel 309 a.C. Al tempo di questi due ultimi risale la prima alleanza dei Lucani con i Romani. Nel 282 a.C. il capo lucano Stenio Stallio di stanza a Laos minaccia Thurii che chiede aiuto ai Romani che inviano un esercito e vi lasciano una guarnigione. Ciò vale un cambiamento di fronte dei Lucani che si affiancano a Pirro nella lotta contro Roma. Sconfitto Pirro a Benevento (275 a.C.), i Romani li sottomettono con larghe confische di territori, dove istituiscono delle colonie latine (Paestum nel 273 a.C.), con l’imposizione di tributi e di forniture di contingenti militari (33.000 soldati), con i quali i Lucani partecipano nella guerra contro i Galli (225 a.C.). Nella II guerra punica molte città lucane si schierano con Annibale, sconfitto il quale sono distrutte e sostituite con colonie romane (Buxentum 194 a.C. e Potentia (184 a.C.). Nel 214 a.C. è espugnata, con altre città, anche Blanda (Livio – Storie  XXIV, 20).

Insorti nel corso e negli strascichi della guerra sociale (90-89 a.C.) subiscono i massacri di Silla scomparendo come popolazione autonoma.


Originaria organizzazione politica ed educazione dei giovani
Politicamente i Lucani erano organizzati in una lega, nella quale le comunità  erano
autonome e rette da magistrati elettivi (meddices), solo in tempo di guerra eleggevano un re temporaneo.

Fino al sec. V il loro sistema di vita era primitivo e alquanto selvaggio, da mettere in relazione alla asprezza e alla povertà dei territori montani da essi abitati. Lo spirito di rapina stava alla base della gioventù nobile. Il giovane era allevato nei boschi tra i pastori, senza vesti e senza giacigli in modo che si assuefacesse ad ogni durezza.

Nel IV sec., quando vengono a contatto con la dovizia e l’opulenza delle città costiere italiote, si acculturano assimilandone celermente gli usi più evoluti in campo culturale, dando origine a una civiltà autonoma[2] e organizzandosi in Città-Stato rette da ricche e ristrette oligarchie. Solo in età più recente, dalla seconda metà del IV secolo a queste oligarchie si affianca una classe sociale intermedia che ripopola le campagne. 


Religione
La loro religione era un misto di animismo e magia, i cui sviluppi portano ad un politeismo di tipo uranico (celeste) e di tipo ctonio (terrestre) con dei antropomorfi che erano la personificazione delle forze oscure della natura che operavano per mezzo dei fenomeni naturali. Si ricordano alcune divinità femminili di fertilità: Mefitis Utiana presso Vaglio Basilicata, nel bosco di Rossano, databile al sec. IV a.C., Hera Ilizia sul Sele; la divinità guerriera maschile: Mamars o Mamerte (il Mars latino), da cui il nome di persona Mamerzio o Mamorzio (ancora oggi a Tortora esiste il termine Mamùozziju). I loro culti avvenivano in santuari all’aperto. In quello  in onore della dea Mefitis, antichissima divinità delle acque stagnanti, è stato rinvenuto un corredo di figurine femminili in terracotta e bronzetti votivi offerti dai fedeli in pellegrinaggio[3].


Culto dei morti
I lucani, come gli altri popoli italici, credevano nella sopravvivenza dei morti. Ritenevano che le anime, dopo la morte trasmigrassero in un aldilà sotterraneo da cui continuavano a mantenere un collegamento con la loro tomba, e, attraverso essa, con il mondo dei vivi, in particolare con la loro famiglia e la loro comunità. Le anime conservavano una certa materialità con le sembianze da vivi. Come esseri fisici seguitavano ad avere bisogno di cibo. Questo spiega il vasellame e gli attrezzi da cucina e da tavola con cui i parenti corredavano le tombe. Dall'oltretomba continuavano a seguire, a prendersi cura e difendere i loro cari e la loro patria. Da qui il loro culto da parte dei vivi, volto ad ingraziarsene benevolenza e ad interventi favorevoli, non tanto come intermediari fra gli uomini e gli dei, ma in virtù di una forza e un potere loro propri.

Lingua
Parlavano una lingua italica, ma scrivevano servendosi dei caratteri greci, ciò, precedentemente alle indagini archeologiche condotte da esperti, ha indotto in errore i ricercatori del passato che hanno interpretato le scritte come provenienti da una comunità greca e hanno concluso, falsamente, che Blanda fosse stata una colonia greca.


Abitazioni
Prima
di incontrarsi col mondo italiota, i Lucani, come gli altri popoli italici (Enotri compresi), abitavano in capanne costruite piantando pali nel terreno precedentemente spianato, collegandoli con vimini o canne intrecciate intonacate di fango. Il tetto era fatto di pali disposti a cono con copertura di fasci di erba sala o di ampelodesmo. Al centro della capanna era sistemato il focolare. Letti, sedili ed olli per le derrate alimentari erano disposti lungo le pareti.
Dopo l'acculturazione i Lucani cominciano ad abitare in case di pietra a somiglianza delle abitazioni italiote (vedi impianto urbanistico di Blanda e Laos lucane). Anche le residenze di campagna erano di pietra con copertura in tegoloni di terracotta come provano i ritrovamenti di resti in tutte le aree da loro frequentate (esempi nel nostro territorio sono dei resti in località 'Sarri' di Tortora e i cocci ritrovati nelle montagne di Aieta e di Verbicaro).


Produzione artistica
La fattura e la fine decorazione dei vasi
di varia grandezza e destinazione testimonia l’alto livello di abilità e il gusto artistico degli artigiani, ma anche la raffinatezza dei committenti e dei compratori utenti. La presenza di un così vario arredo in casa prova ancora una certa agiatezza e un certo livello e una certa varietà di consumi.


Produzione e consumo alimentare
Esercitavano
la pastorizia, l’agricoltura, l’artigianato per la lavorazione dei metalli e della terracotta e il commercio.

Producevano latticini, cereali, legumi, ortaggi, frutta, utensileria da guerra e da lavoro, vasellame in terracotta, da quello di uso comune a quello più raffinato. 

La base dell’alimentazione, come per gli Enotri, era il “puls, un denso composto di grani pestati (o farro o miglio o spelta) bollito con acqua e/o latte, e la maza, la focaccia di farina di orzo impastata con acqua, vino, olio e miele. Questa base era completata “da ortaggi crudi o cotti, spesso conditi con olio e aceto, tra cui i più diffusi erano lattughe, porri e bietole, da frutta come mele, pere, fichi, melograni, da legumi come fave, ceci, lenticchie, lupini, da latticini come formaggi e latte. La carne era un alimento eccezionale e raro, lungo le coste e vicino i fiumi maggiore era il consumo di alcuni tipi di pesce piccolo e poco pregiato”[4].

I Lucani nel territorio di Tortora
Segni
della permanenza dei Lucani qui nel territorio di Tortora sono stati rinvenuti sul colle Palèstro: una parte della cinta muraria della città, due muretti e un muro a secco sottostanti gli edifici di età romana, numerosi frammenti ceramici a vernice nera, frammenti laterizi con bolli.

Nell'ultimo decennio del III secolo a.C., in coincidenza della vittoria dei Romani sulle forze annibaliche e sui loro alleati, non si rilevano più tracce dei Lucani in zona, che appare spopolata per circa un secolo.

Ma le testimonianze più importanti provengono da numerose tombe, sia del tipo terragno sia del tipo a cassa realizzata con grandi lastre di terracotta e con copertura di tegoloni a doppio spiovente pure di terracotta, rinvenute a S. Brancato (vedi terza sala). In una sala del museo allestito nel palazzo di Casapesenna è possibile vedere la ricostruzione della tomba n. 44 completa di scheletro e del copioso arredo completamente restaurato (vedi quarta sala).
Insediatisi nei nuovi territori, fra i quali quello di Tortora, i Lucani divengono agricoltori, fondano delle comunità abbastanza prospere e sviluppano una civiltà avanzata e raffinata, al pari di quella delle città italiote dell’area, come prova il ricco corredo di vasi delle loro tombe.
La comunità insediatasi a Tortora presumibilmente era organizzata in un gruppo dirigente e di notabili che risiedevano all’interno della fortificazione del Paléstro e in numerosi nuclei produttivi (pagi) stanziati nelle unità agricole sparse nel territorio (Sarre, monte Calimaro, Zaparia, ecc.). 


(per un opportuno approfondimento vedi F.Mollo – Archeologia per Tortora: frammenti dal passato – Comune di Tortora 2001.

vedi pure la voce 'Paléstro' nella sezione 'luoghi da visitare' nel menu 'Tortora')

                                                                     Michelangelo Pucci  



[1] Il ‘ver sacrum’ era una pratica religiosa di consacrare e sacrificare alla divinità, a scopo espiatorio o propiziatorio secondo i casi,  le primizie della primavera sia vegetali, sia animali, sia umane. L’uso di sacrificare i bambini primogeniti è con il tempo sostituito dalla consuetudine rituale di allontanarli, una volta puberi, dal territorio tribale verso altri luoghi per fondarvi altre comunità. In tal modo l’etnia si espandeva (N.d.A).

[2] A. Bernardi – L’Italia nel sec. V a.C. pag. 131-133 – in la Storia – Mondadori

[3] A.Bernardi – L’Italia del sec. V a.C. pag. 189 – in la Storia - Mondadori
[4] A. Bernardi – L’alimentazione della gente italica – in La Storia , vol. 3, pag. 621 - Mondadori

 

Go to top