I Romani a Blanda

Resti di un impluvium romano su Palecastro Resti di un impluvium romano su Palecastro Michelangelo Pucci

E' il periodo di più lunga prosperità. Organizzata sia civilmente, sia produttivamente secondo il sistema municipale, la città si integra nella struttura economica romana.

Blanda romana
 La città sul Palèstro, supposto che sia Blanda, come ragionevolmente sostengono gli esperti, è assediata al tempo del console Quinto Fabio da una coorte mandata da queste parti per debellare gli alleati di Annibale nel 214 a.C. (Tito Livio – Ab Urbe Condita, XXIV, 20).  Probabilmente la città si consegna ai Romani evitando, a differenza di Laos, la distruzione. Comunque la vittoria dei Romani su Annibale e sui suoi alleati, scardinando il sistema politico lucano, ne mette in crisi il sistema economico. La vita a Blanda prosegue stentatatamente con un parziale spopolamento del territorio. Negli ultimi decenni dei II sec. a.C. si ha un ripopolamento del territorio da parte di coloni romano-italici. 
Le risultanze delle ricerche archeologiche sul Palèstro testimoniano un ripopolamento più massiccio dalla seconda metà del I secolo a.C. . La città rifiorisce con nuovi edifici sia pubblici: il foro, i templi, la basilica; sia privati: abitazioni e vie, manufatti che si sovrappongono alle rovine delle precedenti costruzioni lucane per effetto del programma di colonizzazione di Silla (80-79 a.C.). In questa prima fase è organizzata istituzionalmente come colonia romana retta da un duovirato come Buxentum. Con la riforma augustea dello Stato Romano, Blanda (come tutte le altre colonie romane ed i Municipi italici) diviene Municipium romanum con una specie di senato costituito da decurioni e da un organo amministrativo formato dai duoviri. Di solito i municipi romani erano retti da quattuorviri, mentre le colonie romane erano rette da duoviri (vedi duunviro M.Arrio); ma se la colonia romana era sostituita da un municipium romano, questo conservava la magistratura del duovirato. Il fatto che Blanda fosse retta da duoviri lascia supporre che essa, prima di divenire Municipio, fosse una colonia recente. In questa occasione la città venne ristrutturata nel rispetto della tradizione romana, con un asse viario, fogne e varie insulae, furono restaurati gli edifici pubblici quali il foro e tre templi e fu risistemata la cinta muraria di precedente fattura lucana. In questa occasione al toponimo 'Blanda' viene aggiunta la qualificazione di Julia.
Per circa un paio secoli (circa 50 a.C. - circa 150 d.C.), conosce una certa prosperità documentata oggettivamente da monumenti sia civili: il foro, la basilica, il monumento a M.Arrio; sia funebri: il mausoleo del Pèrgolo; da monete e da innumerevoli cocci diffusi in tutto il territorio, soprattutto lungo la ripida scarpata SSE verso la Fiumarella, provenienti dalle rovine degli edifici e dai resti del vasellame, gettati lì nelle fasi di uso agricolo del suolo e della sua ripulitura a mano a mano che l'aratro o la zappa li portava alla luce. 
Successivamente al 150 va decadendo fino alla scomparsa definitiva nel VI secolo e spostamento dell'abitato nel vicino pianoro di S. Brancato (vedi museo quinta sala vetrina 10) [2].

Vie di comunicazione
Ai piedi del colle correva la via Aquilia (detta anche Traianea) che seguiva grosso modo la costa tirrenica seguendo il declivio collinare alla quota di qualche decina di metri sulle strette spiagge o sulle brevi pianure costiere, costruita quasi sicuramente sul tracciato di un'antica via enotria prima e lucana poi, che collegava il Cilento e il Vallo Diano con la piana del Laos e con i vari centri tirrenici fino a Lametia. Non era una strada carrabile, ma una mulattiera dal fondo in acciottolato battuto e attrezzata con stazioni di posta. Non se ne conosce con precisione il percorso. E' probabile che scendesse da Paestum lungo il sistema di valli del Cilento fino a Sapri. Di qui saliva attraverso il Timpone, aggirava il monte Coccovello, si affacciava sulla valle del Noce tra Lagonegro (Vicus mendicoleus?) e l'antica Cesernia, segnata sulla via Popilia nell'Itinerarium Antonini, collocabile tra le odierne Rivello e Nemoli [4], di qui la via svoltava a sud-ovest o ad ovest. Per giungere a Blanda lungo la via Aquilia si possono ipotizzare due tracciati alternativi: il primo, diretto, lungo il Noce (il più probabile) e, passando ai piedi della contrada Rovolo, si congiungeva con la mulattiera del Carroso e proseguiva fino a Castrocucco; il secondo, meno diretto, attraverso il passo della Colla, raggiungeva Maratea; di qui erano possibili due direttrici: una più comoda (e più probabile) per Massa e per il Carroso, l'altra (molto meno probabile, non avendone trovato evidenze di tracciato) per Marina di Maratea e per Castrocucco. A sud di Blanda la via seguiva più o meno il tracciato della vecchia SS 18. 
Una mulattiera collegava Blanda, attraverso il passo dei Piani del Carro, all'alta valle del fiume Lao percorsa dalla via Popilia in prossimità dell'attuale Laino Castello e di qui a Castelluccio (l'antica Nerulum?). 
Un'altra mulattiera partiva da Blanda, attaversava le contrade di S. Brancato, del Rosaneto, di Pizzutano, della Cersosa, scendeva al livello del fiume sotto la Cavuta di fronte alla sorgente dell'Acqua Sincera situata sulla sponda destra del Noce percorsa dalla mulattiera che potrebbe essere il primo tracciato della via Aquilia.

Organizzazione territoriale a Blanda
L’organizzazione territoriale in questa epoca ricalca quella esistente al tempo degli Enotri prima e dei Lucani poi: sul Palestro vi era il centro fortificato con gli edifici sacri, quelli pubblici e le abitazioni dei notabili detenenti il potere politico; sparse nel territorio vi erano le ville, paragonabili alle masserie attuali, con le abitazioni dei proprietari terrieri con quelle dei loro servi e dei lavoranti agricoli, schiavi e non, con i depositi di foraggi e di altri prodotti, con i granai, stalle e ovili per l’allevamento del bestiame, ovunque vi fosse del terreno coltivabile, al Rosaneto, a S. Brancato, alle Crisose, a Massacornuta, al Carro, a Pizinno (nell’attuale Comune di Tortora), a Mustacine, alla Mancosa, a Vracanta, a Malazzo, a Capo d’acqua, al Prato (nel territorio dell’attuale Comune di Aieta), a S. Nicola, a S. Stefano, alla Viscigliosa, al Piano delle Vigne, alla Zaparia, alla Foresta (nell’attuale Comune di Praia), a Vannefora, alla Saracina, a Troppo, alle Pianette, a Scannagalline, a Dino (nell’attuale Comune di S. Nicola). Il territorio amministrato dal Municipium di Blanda, secondo G.F. La Torre [2], confinava a nord (comprendendo Acquafredda di Maratea) con il territorio di Buxentum (attuale Policastro Bussentino) e a sud con il territorio di Clampetia (S.Lucido). Dipendevano da Blanda anche le aziende di produzione di “garum” alla Secca e sull’isolotto di S.Janni, oggi in territorio di Maratea.

Produzione alimentare
La produzione agricola, anche di esportazione, è molto redditizia, con l’eccezione di sporadiche carestie dovute ad annate occasionalmente sfavorevoli.
Le crisi economiche del II-III sec. d.C., quando la produzione agricola locale non è più competitiva come quella di altre parti dell’impero, e della prima metà del VI secolo, quando si verifica anche il declino dell’attività pastorizia tanto che la regione non è più in grado di pagare l’annona allo Stato in termini di carne suina, la fanno decadere ma non scomparire [1].
I Blandani coltivavano la terra dalla quale traevano le risorse alimentari: cereali come frumento, farro, orzo, miglio; legumi come fave, lenticchie, ceci, lupini; frutti come mele, pere, olive e noci, prodotti che conservavano in grandi dolii. Allevavano il bestiame: bovini per il lavoro, pollame per le uova e la carne, suini per la carne, ovini per la carne, il latte e la lana per i tessuti destinati al vestiario e all’arredo da letto. Pescavano in mare pesci minuti con i quali preparavano il garum (a punta 'La Secca' e sull'isolotto 'S.Janni'), salsa molto ricercata a Roma, in età imperiale allevavano anche pesci più pregiati come spigole e rombi.

Alimentazione
La base dell’alimentazione, come per gli Enotri e per i Lucani, era il “puls, pultis" (poltiglia o polenta o farinata), un denso composto di grani pestati (o farro o miglio o spelta o fave) bollito con acqua e/o latte, e la "maza", la focaccia di farina di orzo impastata con acqua, vino, olio e miele. Questa base era completata da ortaggi crudi o cotti, spesso conditi con olio e aceto, tra cui i più diffusi erano lattughe, porri e bietole, da frutta come mele, pere, fichi, melograni, da legumi, come fave, ceci, lenticchie, lupini, da latticini come formaggi e latte. La carne era un alimento eccezionale e raro, lungo le coste e vicino i fiumi maggiore era il consumo di alcuni tipi di pesce piccolo e poco pregiato”. Solo i più ricchi consumavano pesci pregiati. La novità nell'alimentazione dei Romani, rispetto agli Enotri ed ai Lucani, era il pane di frumento e la salsa di garum. Il pane prese gradualmente il posto del puls; dapprima sotto forma di gallette di pasta non lievitata; il pane lievitato, subentrato successivamente, confezionato in varie forme, anche molto grandi, fino a 90 cm, rotonde o quadrate,  era prodotto e consumato in quattro varietà: il plebeius, nero e di qualità inferiore; il secundarius, bianco ma confezionato con farina non molto raffinata, di qualità un po' migliore; il candidus, bianchissimo, confezionato con farina raffinata, di qualità superiore; il furfureus, fatto di crusca, destinato agli animali, ma lo consumavano anche i più poveri. Erano prodotti anche pani speciali tipici di alcune regioni: il picentinus, di spelta, uva secca e latte; lo strepticius, di cereali, con latte, pepe e olio; il vadipatus, di cereali e grasso [3].


Blanda cristiana
Nel corso del IV o V secolo si diffonde il cristianesimo nel territorio e Blanda diviene cristiana e sede vescovile.
Si fa risalire a quest'epoca una lapide funeraria rinvenuta ad Aieta, riportata dal Momnsen nel 'Corp.Inscr.Lat.',  dedicata al vescovo Iulianus. Nonostante il nome latino, il vescovo sembra di rito greco-bizantino poiché nell'iscrizione si nomina la moglie 'Feliciana' e si accenna ai figli. Nel rito latino, infatti, era già prassi che i vescovi e i presbiteri fossero scelti tra celibi. Vedansi a proposito il sinodo di Elvira in Spagna del I decennio del IV sec. e i concili africani di Cartagine del 390 e del 419 nei quali si ribadisce la legge canonica del celibato dei vescovi e dei presbiteri, salvo la nomina a queste funzioni di persone già sposate, le quali tuttavie erano obbligate, dal momento di accettazione, a separarsi dalle loro mogli e a vivere in castità. 
La crisi politica e militare dell’Impero d’Occidente determina un graduale passaggio di poteri civili e giudiziari nelle mani del vescovo.

Fine di Blanda romana
Colpita più volte da eventi sismici e riscostruita: metà I sec. d.C., 75 d.C., metà II sec. d.C., 365 d.C. con maremoto, la città sopravvive fino al VI sec. d.C., come dimostra il ritrovamento di pezzi di vasellame fittile di questo periodo. Del periodo romano ci è rimasto il patrimonio linguistico: i vocaboli del dialetto tortorese per il 97% derivano da etimi latini.
Il Palèstro subisce una prima volta saccheggi e distruzioni nella prima metà del sec. V molto probabilmente ad opera dei Vandali. Ripresavi una stentata frequentazione, viene abbandonato definitivamente nel corso del VI secolo, quasi sicuramente devastato dai Goti (nel 5° decennio) o dai Longobardi (nell'ultimo decennio), ma la zona circostante come S. Brancato continua ad avere, con il nome di Blanda, una presenza umana con sparsi insediamenti agricoli di sussistenza (vedi 'Bizantini e Longobardi'). 

                                                         Michelangelo Pucci

vedi 'Palestro'  


[1] Storia della Calabria medievale – pag. 18 – Gangemi  editore
[2] La Torre - Mollo - Blanda Julia sul Palecastro di Tortora, Scavi e Ricerche (1990-2005) - Di.Sc.A.M. 2006 - pag. 476
[3] A. Bernardi – L’alimentazione della gente italica – in La Storia , vol. 3, pag. 621 - Mondadori
[4] F. Guandalini - Il Territorio di Rivello e il problema del Sirino  in 'Carta archeologica della Valle del Sinni' - pag 221 nota 190 ove si citano: Lombardi - 1832 - pag. 241 e Greco -1982 - pag. 15-16; - Editore L'Erma di Bretschneider - 2001. Vedi anche l' Itinerarium Antonini che segna Cesernia come stazione di posta della via Popilia tra Vicus Mendicoleus (Lagonegro ?) e Nerulum (Castelluccio ?); vedi pure la Tabula Peutingeriana che la indica come stazione di posta capolinea della via Aquilia. 


 
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