Il termine "autorità" può indicare le persone fisiche preposte ad organi che esercitano un potere (le autorità regionali), anche il complesso delle persone di un organo (l’autorità giudiziaria, l’autorità di pubblica sicurezza) o anche persone fisiche particolarmente competenti e versate in una disciplina o arte (il prof. Tali è un’autorità in critica d’arte). 
Il vocabolo indica pure dei concetti astratti, a seconda del contesto può significare ‘superiorità’ (la nostra squadra ha vinto con autorità), anche stima, fiducia, credito di cui una persona gode per doti, qualità e meriti acquisiti in un determinato campo (il prof. Caio gode di una grande autorità nella medicina), come pure testimonianza o esempio autorevole (lo dico sulla base dell’autorità di Aristotele). 
In ultimo designa il potere legittimo di una persona di determinare, di decidere, di farsi obbedire, di condizionare, di esercitare una guida sulla volontà o sullo spirito di altre persone. 
Questo potere può discendere da un diritto naturale (l’autorità dei genitori nei confronti dei figli minorenni), dall’ordinamento giuridico (l’autorità amministrativa, l’autorità degli educatori scolastici), da libera scelta dei soggetti (le autorità politiche), dalle qualità, dalle doti, dai meriti personali, dal carisma di particolari personalità che attirano la stima e la fiducia di chi a loro si affida informalmente. 
Il vocabolo ‘autorità’ discende da quello latino ‘auctoritas’, che a sua volta deriva dal verbo ‘augeo’ che si traduce in italiano con ‘faccio crescere’, ‘faccio aumentare’, ‘faccio ingrandire’, ‘rendo fecondo’, ‘innalzo, arricchisco’ uno. 
Da ciò si deduce che il vero senso dell’autorità non è quello di esercitare comunque un imperio, un dominio, ma quello di promuovere la crescita, lo sviluppo, la produttività, l’elevazione, l’arricchimento morale ed intellettuale dei soggetti. In questa prospettiva l’autorità non è l’esercizio di un dominio, ma la prestazione di un ‘servizio’ a favore degli altri. 
Il Maestro per eccellenza nato a Betlemme disse: “il figlio dell’uomo … non è venuto per essere servito, ma per servire …” (Matteo 20, 28). Agostino di Tagaste nel V secolo fondava il rapporto maestro-discepolo sull’amore (De catechizandis rudibus). Il pedagogista Raffaello Lambruschini nel 1800, assumendo una posizione rivoluzionaria per i suoi tempi ma in piena consonanza con i suoi due precedenti ispiratori, affermava che l’educatore nell’esercizio della sua autorità deve porsi come colui che esplica un servizio nei confronti dell’educando.
Se nelle società rette da governi dispotici l’autorità è identificata con il potere e si confonde con il dominio, nelle società democratiche invece, nelle quali l’esercizio del potere è sempre più l’effetto di una delega popolare, si va sempre più affermando il concetto di un’autorità intesa come servizio sconvolgendo non solo i rapporti politici, ma ogni altro tipo di rapporto sociale, da quelli familiari a quelli di lavoro, da quelli educativi a quelli burocratici o, in genere, a quelli che si instaurano in uno qualunque dei servizi pubblici. 
Questo però non vuol dire che i destinatari del servizio diventino arroganti nuovi padroni, titolari di un dominio rovesciato. Fra i due termini del rapporto vi è sempre uno squilibrio, non umano, non civile, ma di competenza. Da una parte vi è una competenza messa a disposizione, dall’altra vi è richiesta di beneficiarne. La messa a disposizione della competenza avviene in obbedienza ad una disciplina costituita da regole poste a garanzia delle due parti e da un codice non scritto che suggerisce toni e modi umani e civili tali da obliterare quello squilibrio.

                                                                 Michelangelo Pucci

Il modello aristocratico porta alla divisione della società dei cittadini (gli uomini liberi) in due classi disuguali per numero e per diritti: la classe nobile, ristretta per numero, titolare dei diritti politici e quella del popolo, più numerosa, costituita dagli uomini liberi:  proprietari produttori, mercanti, intellettuali, ecc., comunque fruenti di un reddito e come tali obbligati a pagare un contributo per l'amministrazione della Polis e tenuti al servizio militare ma non titolari dei diritti politici. Le persone che per vivere prestavano, o per conto proprio o per conto di altri, un lavoro manuale retribuito non erano ritenute uomini liberi e quindi non cittadini. 
I rapporti cambiano in seguito alle guerre esterne. L'apporto determinante per la vittoria sui nemici della seconda classe induce la classe dominante a riconoscere a più riprese l'esercizio dei diritti politici di voto attivo e passivo a cerchie sempre più allargate di fruitori con censo sempre più basso, fino a comprendere quelli che fossero in grado di sostenere le spese per il proprio armamento nell'esercito. Si arriva così al modello democratico. Non è ancora la democrazia, come la intendiamo oggi, aperta all'esercizio dei diritti politici da parte di tutti, senza alcuna distinzione. E' una democrazia che riconosce i diritti politici a tutti i cittadini, solo che erano ritenuti cittadini solo i maschi che fruivano di un certo censo. Per giungere al modello di democrazia moderno bisogna arrivare alla fine della seconda guerra mondiale (1939-1945) quando viene riconosciuto il diritto di voto attivo e passivo anche alle donne.

Al modello aristocratico si perviene per indebolimento di quello monarchico. Per la conquista, il mantenimento, la difesa, il governo e l'amministrazione del regno il re ha bisogno di un esercito, di generali, di governatori, di amministratori, di cortigiani. Queste figure vanno a costituire una classe scelta e privilegiata educata a gestire il potere. Quando il potere monarchico si indebolisce gli subentra quello di questa classe che, nel gestirlo, si dà delle regole stabilite di comune accordo. Si mette in moto così un nuovo sistema politico fondato non sulla forza ma sulla legge, espressione di una pluralità di soggetti. Ne è un esempio la costituzione della Repubblica a Roma dopo il periodo monarchico, dove il potere passò nelle mani delle gentes patrizie che lo esercitavano per il tramite del Senato, l'affermazione delle poleis nella prima fase del loro sviluppo nella Grecia postmicenea.

Il modello monarchico, con il potere assoluto di una sola persona, si afferma in regime di economia agricola e artigianale, che richiede una vita con residenza stabile in un territorio. La stabilità favorisce la costruzione di abitazioni durevoli riunite in conglomerati urbani, nei quali si perviene a una maggiore articolazione dei ruoli sociali e ad una distinzione in classi, in risposta ai molteplici bisogni che emergono in una situazione di aggregazione molto numerosa. Il potere monarchico si presenta in maniera molto frammentata con un re per ogni città. Successivamente le lotte tra le città portano in un primo tempo al predominio di una sull'altra, poi gradualmente al predominio di una su un numero sempre più grande di altre fino a costituire regni che dominano sul territorio occupato da un popolo e a fondare imperi che soggiogano più popoli.  Il monarca ha, di solito, carattere politico religioso e militare. I rapporti sociali sono regolati da leggi decretate dal monarca stesso. La difesa è affidata ad un esercito che svolge anche le funzioni di polizia interna. Le attività economiche sono controllate dal monarca, direttamente nei regni di piccola estensione come nella Grecia preclassica e indirettamente nel caso di un territorio molto vasto come nei grandi regni e negli imperi come in Egitto, in Persia, nell'area mesopotamica, ecc.  I consociati sono sudditi e servi del monarca. La loro vita, i loro beni, la loro condizione dipendono dal suo arbitrio. In questo modello vige tendenzialmente il matrimonio monogamico.

Michelangelo Pucci

 

 

 

Il modello patriarcale è un tipo di associazione culturale più evoluto della tribù; risale all' VIII-VII secolo a.C. nella regione mesopotamica e nelle aree attigue. Mentre l'economia della tribù si basa sulla semplice raccolta dei prodotti, l'economia del gruppo patriarcale si fonda prevalentemente sulla produzione delle risorse attraverso la pastorizia. Il gruppo, non più branco, è più coeso ed è costituito da una famiglia allargata, di solito nomade per l'esaurimento dei pascoli e conseguente spostamento in altri siti per lo sfruttamento successivo di altri pascoli, il cui capo esercita un potere carismatico derivante dal fatto che contemporaneamente è anche il padre padrone del gruppo. Pur essendo tendenzialmente poligamico, egli accetta che i figli e le figlie si creino proprie famiglie che ammette nella consociazione. Fanno parte della consociazione anche schiavi e schiave con le incombenze più varie. La difesa del gruppo è affidata ai componenti maschi, liberi e servi, che, nel momento dell’emergenza, si armano e combattono. Il capo, anche indebolito e vecchio, non solo non è scacciato dal gruppo, come avveniva nel branco, ma continua a governare rispettato e venerato da tutti i componenti del gruppo. Esempi tipici di questo modello sono le famiglie dei patriarchi biblici.
 
Michelangelo Pucci

 

 

 

Origine della società

L’uomo è un ‘animale’ sociale, già lo riconosceva tanti secoli fa Aristotele (384-322 a. C.).

La società, genericamente intesa come semplice associazione naturale, non è nata con l’uomo, ma è stata ereditata dai precedenti stadi evolutivi come risposta alla soddisfazione dei bisogni fondamentali della vita: la riproduzione, la difesa, l’alimentazione: si considerino ad esempio i formicai, gli sciami delle api, i banchi di pesci, gli stormi degli uccelli, i branchi di varie specie di mammiferi, da ritenersi vere e proprie consociazioni sociali con differenziazioni dei ruoli.
Come gli animali anche gli esseri umani, fin dai primi stadi della loro evoluzione, sono vissuti per milioni di anni consociati in gruppi familiari e tribali prima di giungere, in tempi più recenti, a forme associative via via più evolute a partire, nell'area mesopotamica, dall'ottavo-settimo millennio a.C. fino a oggi.

Già per la riproduzione è necessaria l’intesa fra due individui: maschio e femmina. L’alimentazione della prole richiede la loro collaborazione e associazione. La difesa sollecita la cooperazione di molti.

La società, specificamente intesa come aggregazione culturale, è un prodotto umano come risposta ai succitati bisogni fondamentali culturalizzati e a tutti gli altri bisogni propri del grado di civiltà via via raggiunto. Per la soddisfazione dei bisogni culturali occorre un’organizzazione stabile e complessa con una molteplicità ruoli.

                                                                                                      Michelangelo Pucci

 

 

Go to top