Sono dei flash di ricordi degli anni di collegio trascorsi a Castiglion Fiorentino (AR) e a Cavagnolo (TO)-
Da un po’ di giorni ho il mal di denti. L’ultimo molare a destra dell’arcata inferiore è talmente cariato che in cima vi si è aperto un cratere. L’incaricato infermiere vi calca un prodotto, a suo dire, di sicuro effetto analgesico.
La mattina successiva la parte si gonfia e compare la febbre … , mi ricoverano in infermeria. Nel pomeriggio ho la temperatura alta, la parte si gonfia e la mandibola si blocca.
Il rettore si preoccupa … , tutto imbambolato mi caricano nella cabina del camioncino e mi trasportano a Torino nell’ospedale delle Molinette.
Mi sistemano in una corsia con otto letti, chiusi da tre tendine scorrevoli. Io le tengo semiaperte, in questa situazione il chiuso mi dà fastidio, ho paura che nessuno si accorga di me, inoltre, proprio perché non posso parlare, sento il bisogno di compagnia! Per mia fortuna più in là è ricoverato un altro giovane, di un paio di anni più anziano di me. E’ uno studente del seminario torinese, molto socievole e scherzoso, che mi risolleva un po’ l’animo. Io gli rispondo a gesti. A sera passa una suorina con il conforto della sua giovialità e di una bibita colorata per rinfrescarci.
L’indomani mattina passa la visita dei dottori. Mi prescrivono delle iniezioni di antibiotici. Grazie a queste la temperatura corporea cala, ma la faccia resta gonfia e la mandibola serrata. Nei giorni successivi mi sento decisamente meglio, posso lasciare il letto di tanto in tanto e passeggiare con il compagno di corsia. La mattina del quarto giorno vengono a prendermi, mi portano in sala operatoria, mi mettono un attrezzo tra i denti, una specie di cric, con il quale mi aprono la bocca, un taglio all’ascesso e la bocca è inondata da un liquido salato e maleodorante. Nei due giorni successivi comincio ad aprire e chiudere la bocca autonomamente. Dopo sette giorni di ricovero il camioncino di Santa Fede mi riporta a casa.
Dopo qualche giorno mi accompagnano dal dentista. Il molare già traballava. Bastano pochi secondi, senza anestesia, e il dente viene via tra le branche della pinza.
Lo porto con me a futuro ricordo di questa avventura.
Giornata primaverile. Il tempo è bello. L’atmosfera è particolarmente tersa. Partiamo di buon mattino. Abbiamo preparato questa camminata da giorni: abbiamo scelto con cura la nostra meta e studiato dettagliatamente il percorso. Siamo diretti a sud, ad Albugnano, sita a dodici o tredici km di distanza in linea d’aria, sede dell’antica abbazia romanica di Vezzolano, consorella di quella in cui alloggiamo, ma più grande e meglio conservata. Per abbreviare il percorso decidiamo di tagliare per le colline utilizzando mulattiere e sentieri. Sostiamo sul dosso di una collina per osservare un panorama unico: volgendo lo sguardo a nord si offre ai nostri occhi lo spettacolo meraviglioso della pianura padana leggermente velata da una nebbiolina che la copre nascondendo città e campagne. In compenso la corona innevata delle Alpi che la cinge appare nitidissima e di un bianco brillante sotto i raggi del sole. E’ possibile distinguere a sinistra la piramide del Monviso, il monte Bianco, quasi di fronte a noi il gruppo del Monte Rosa nel quale spicca il Cervino. Seguono in successione le Alpi Svizzere e poi quelle Austriache. Chiudono a destra le rocce rosate delle Dolomiti. Restiamo incantati e in silenzio per molti minuti … ma dobbiamo proseguire.
Passando per Tonengo e per Aramengo arriviamo ad Albugnano e di li scendiamo in una valle più in basso.
L’abbazia è imponente, la chiesa in pietra a blocchi squadrati è più grande e un po’ più antica della nostra: la facciata più maestosa, più ricca di decorazioni, è percorsa per tutta la larghezza da un elegante finto loggiato a colonnine e archetti a tutto sesto; il portale più solenne, più ricco di sculture, ci invita ad entrare. L’interno, a tre navate, è simile all’interno della chiesa di Santa Fede, stessa struttura, stesso stile, ma più ampia e con maggior numero e finezza delle decorazioni. Anche qui i capitelli sono tutti diversi, con scolpiti animali, mostri e motivi vegetali. Si dice che ogni capitello fosse opera di un monaco, libero di seguire le sue idee, i suoi gusti, le sue sensibilità artistiche e di rappresentare le raffigurazioni delle varie forme assunte dal tentatore, sia a fini scaramantici contro le sue lusinghe, sia a fini di deterrenza e di ammonimento nei confronti del fedele per indurlo a tenersi lontano dal peccato.
Sommersi in queste suggestioni, consumiamo il pranzo al sacco, seduti nel prato antistante. Con tutta calma, nel pomeriggio, facciamo ritorno a casa.
Il monachesimo è un modo di vivere la fede e la religione in maniera più intensa nella ricerca di una vicinanza a Dio diretta mediante la pratica dell'ascesi e del misticismo. Non è esclusivo del Cristianesimo essendo presente in altre religioni, ne sono un esempio quelle orientali come il Buddismo. Ma è nel Cristianesimo che assume le forme più varie: dall'eremitismo al cenobitismo, dalla clausura all'impegno più vario nel sociale, ecc.
I monasteri
Le figure più note di anacoreti furono Antonio e Girolamo.
Il fondatore del cenobitismo fu Pacomio che nel 320 fondò il primo monastero a Tebennisi sulle rive del Nilo.
La prima regola fu dettata da Basilio di Cesarea. I monasteri basiliani si diffusero in Oriente, in Grecia, in Sicilia e Italia Meridionale.
In Occidente si affermarono due regole: quella dell'irlandese-celto Colombiano con irradiazioni in Germania, Svizzera e Italia; e quella del romano-italico Benedetto da Norcia, con irradiazioni in Italia, Inghilterra, Paesi Bassi, Scandinavia, Germania e Francia. Nella prima prevaleva il rigore ascetico e il lavoro di cultura: la trascizione di codici. La seconda era più moderata per il rigore ascetico, ma era più organica nel definire preghiera comune e lavoro con finalità sociali, compreso il lavoro manuale.
Il monachesimo benedettino ebbe origine nel 529 a Montecassino, Terracina, Subiaco. Ancora vivente Benedetto, ebbe larga diffusione in Italia. Sotto il pontificato di Gregorio Magno ebbe inizio la diffusione in Europa a cominciare dall'Inghilterra, proseguendo sotto il pontificato di Bonifacio in Germania , nei Paesi Bassi e in Scandinavia.
Dopo un periodo di progressiva decadenza rifiorì a Cluny (910), con il ritorno alla purezza della regola benedettina. Diversi adattamenti alla regola diedero origine a diverse congregazioni (di Camaldoli, di Vallombrosa, di Montevergine, dei Silvestrini, dei Celestini, degli Olivetani). Successivi rilassamenti della regola provocarono la riforma dei Cistercensi (1098) e infine nel 1599 dei Trappisti o Cistercensi riformati.
La regola benedettina abbandona il principio orientale della fuga dal mondo e dell'autopunizione per meritare il perdono di Dio. Impone invece il servizio di Dio nelle tre forme della preghiera, dell'attività manuale e di quella intellettuale, strumenti diversi di santificazione e di amore al prossimo.
Essa comanda l'umanità: non ordina l'impossibile, ordina di aver riguardo al fratello infermo, toglie alla fatica il carattere punitivo ed espiatorio, ordina di mettere i beni in comune, chiede a ciascuno di lavorare secondo le sue possibilità e distribuisce i prodotti secondo i bisogni di ognuno (Agasso: Storia d'Italia -Mondadori - pag. 152).
Mentre il monachesimo orientale non dava importanza al tempo , Benedetto invece lo rivaluta come una ricchezza da investire oculatamente in certi modi all'unico fine della perfezione. Per lui non esistono ore vuote, da dissipare a piacimento: egli fonda tutto sulla stabilitas: con la comunità fissata stabilmente in un luogo e il monaco fissato alla comunità. Il monaco lavora, prega, si riposa secondo un ritmo prestabilito che non richiede eroismo ma perseveranza, un ritmo umano, ma appunto per questo da rispettare rigorosamente. La giornata del monaco seguiva la cadenza tradizionale , ereditata da Roma, di tre ore in tre ore: mattutino (mezzanotte), laudi (ore tre), prima (ore sei), terza (ore nove), sesta (ore 12, mezzogiorno), nona (ore quindici), vespri (ore diciotto), compieta (ore ventuno). Il dì e la notte erano sempre ciascuna di dodici ore: l'ora però era di durata variabile: le ore notturne più lunghe d'inverno e più brevi d'estate, quelle diurne al contrario più brevi d'inverno e più lunghe d'estate (ibid.pag.154).
L'idea fondamentale era che il monastero dovesse bastare a sé stesso, formare un sistema economico completo e una società vivente a sé, autonoma, sotto l'autorità paterna, ma assoluta, dell'abate.
Il monastero costituiva una unità economica la cui base era la proprietà e il lavoro: la proprietà, acquisita o con la semplice occupazione di terreni nullius, o a seguito di donazioni; il lavoro, quello dei monaci e quello dei coloni accorsi spontaneamente o donati insieme con le terre. Il terreno intorno al monastero veniva disboscato, dissodato, e ridotto ad orto, a frutteto, a campo (Salvatorelli, ibid, pag.152).
Forme e sviluppi del monachesimo
La forma originale e più radicale del monachesimo cristiano fu quella degli anacoreti (anche eremiti (da §ρημoς = deserto) o segregati, dalla preposizione vα (ana) = lontano e il verbo χωρέω (choreo) = abito della lingua greca) che vivevano del tutto isolati nei deserti di Egitto o Siria fin dal III sec. (Enc. De Agostini). Gli anacoreti operavano un distacco totale dal mondo: dagli uomini vivendo in solitudine, dagli agi, dalle comodità e dai beni della vita terrena accontentandosi per riparo di una grotta o anfratto o capanna di frasche, per vestito di una veste di tela povera e ruvida o di una pelle di animale o della semplice propria pelle, per cibo di bacche, insetti, lucertole e serpi. Trascorrevano il tempo in preghiera, in meditazione e in penitenza spirituale e corporale.
La seconda forma del monachesimo cristiano fu quella delle laure (dal greco λαύρα (làyra) = gola tra i monti), costituite da raggruppamenti di anacoreti con servizio religioso comune (Enc. De Agostini). Nelle laure il distacco dal mondo era pure totale con la differenza di una mitigazione della solitudine, in quanto gli anacoreti, pur vivendo una parte della giornata isolati e distanziati ognuno nella propria grotta o capanno, erano sottoposti alla guida di un egùmeno o abate e in momenti determinati del giorno si riunivano in un luogo comune per gli uffici religiosi e potevano usufruire di un pasto comune anche se servito separatamente. Si sviluppò dal V sec., costituendo poi dei villaggi attorno a una chiesa.
La terza forma di monachesimo cristiano fu quella dei cenobiti (dal greco κoιvός (coinòs) = comune e βίoς (bios) = vita, vitto). Il cenobio era contraddistinto da un recinto entro cui i monaci vivevano e lavoravano impegnati a una stretta obbedienza a un capo (egùmeno, abate), all'osservanza della regola stabilita, vestiti di un rozzo saio con cappuccio di foggia e stoffa uguale per tutti, legato alla vita da una corda, prendevano in comune i magri pasti e si riunivano per la preghiera (Enc. De Agostini).
Il cenobio poteva trovarsi sia lontano che in vicinanza o, in alcuni rari casi, entro gli abitati. Il monaco lavorava di solito entro il recinto, ma poteva anche lavorare fuori, quello che contava era che doveva evitare di entrare in relazione con gli estranei.
Il recinto racchiudeva degli edifici destinati alle pratiche e alla vita comune: la chiesa, le cucine, il refettorio, il capitolo; al suo interno erano pure le celle dei singoli monaci, dapprima separate e poi anche unite in un unico fabbricato.
Concetto
Il monachesimo cristiano è l'istituzione nella quale, mediante l'isolamento dal mondo, con la rinunzia ai beni (ascetismo)[1] si cerca di raggiungere la salvezza, ma pure l'intimità con Dio come partecipazione più piena e intensa alla realtà divina già in questo mondo con la sua contemplazione (misticismo)[2] (Enc. De Agostini).
L'ascetismo si propone il dominio degli impulsi sensibili fino alla loro soppressione. Un suo aspetto preminente è la ricerca di una tecnica della rinuncia ai piaceri sensibili, che si concreta generalmente nell'astensione dal cibo o nell'uso di cibi ingrati, nella resistenza al sonno, nel contrastare gli appetiti anche sessuali, nella sopportazione del dolore fisico (Enc. Europea).
Esso comporta quindi astinenze, digiuni, mortificazioni corporali e psichiche.
Il misticismo cristiano è la particolare esperienza religiosa che consiste in una speciale immediatezza di contatto esperienziale con la divinità, colta intuitivamente, superando le mediazioni caratteristiche di ogni altra espressione religiosa, ed attuata con il distacco dalla condizione umana nella storia con le sue limitazioni spazio-temporali e con la comunione con Dio. Esso può esprimersi anche attraverso stati psichici speciali come visioni ed estasi cui possono accompagnarsi il rallentamento di attività materiali (anestesia, trance) e talvolta fenomeni eccezionali (levitazione, stimmate, ecc.). (da Enc. Europea)
Il misticismo è favorito dall'ascetismo.
Gli stati psichici speciali che l'accompagnano non sono sempre segno di misticismo, poiché possono accompagnarsi ad altri fenomeni potendo essere indotti anche da altre cause: droghe, danze sfrenate, suoni di tamburi, ecc. (Enc. De Agostini).
Origini
"Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dàllo ai poveri... ; poi vieni e seguimi" (Mt.19,21); "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt.19,29). Queste parole delineano due forme di vita cristiana: quella comune consistente nell'osservanza delle leggi e dei precetti religiosi e quella perfetta consistente nella pratica eroica delle virtù evangeliche: povertà, castità, obbedienza.
Nelle prime comunità cristiane la verginità e la comunione dei beni avevano grande importanza nella prospettiva del distacco dal mondo. Ma fu solo successivamente al '300 d.C. che ebbe rapida diffusione il monachesimo sia sotto forma eremitica che cenobitica, in coincidenza della politica di pacificazione religiosa dell'imperatore Costantino. Essa portò al cristianesimo masse enormi di seguaci, che inevitabilmente abbassarono il livello morale delle comunità, mentre i vescovi vennero ad assumere spesso dignità e poteri terreni non sempre in accordo con i principi evangelici. In questa situazione un numero crescente di cristiani fuggì dal mondo alla ricerca di una rigorosa osservanza evangelica (Enc.Europea).
Origini
"Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dàllo ai poveri... ; poi vieni e seguimi" (Mt.19,21); "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt.19,29). Queste parole delineano due forme di vita cristiana: quella comune consistente nell'osservanza delle leggi e dei precetti religiosi e quella perfetta consistente nella pratica eroica delle virtù evangeliche: povertà, castità, obbedienza.
Nelle prime comunità cristiane la verginità e la comunione dei beni avevano grande importanza nella prospettiva del distacco dal mondo. Ma fu solo successivamente al '300 d.C. che ebbe rapida diffusione il monachesimo sia sotto forma eremitica che cenobitica, in coincidenza della politica di pacificazione religiosa dell'imperatore Costantino. Essa portò al cristianesimo masse enormi di seguaci, che inevitabilmente abbassarono il livello morale delle comunità, mentre i vescovi vennero ad assumere spesso dignità e poteri terreni non sempre in accordo con i principi evangelici. In questa situazione un numero crescente di cristiani fuggì dal mondo alla ricerca di una rigorosa osservanza evangelica (Enc.Europea).