DOTTRINA CRISTOLOGICA
Nell'elaborazione dottrinale del primo e secondo secolo la figura del Cristo viene notevolmente rivalutata.
Sulla figura di Gesù la concezione dottrinale subisce una graduale e sostanziale evoluzione:
a) Gesù in un primo tempo è definito " servo di Dio e profeta " ( Atti cap 3-4 ).
b) In un secondo tempo Gesù viene definito " figlio di Dio " da Paolo nel senso di uomo di Dio (Atti 9, 20; 13, 33; Rom.1, 4; 15,6 ; Gal.4, 4-7); "figlio di Dio prediletto " (Mt.3, 17 ), "figlio primogenito " (Ebr.1, 6) espressioni che lasciano presupporre che non sia figlio unico; "figlio di Dio non da sempre" ma da un determinato momento: "oggi ti ho generato " (Ebr.1, 5) "costituito figlio con la resurrezione " (Rom.1, 4).
c) In un terzo tempo Gesù viene definito "figlio di Dio " in senso generazionale (Ebr.1).
d) In fine Gesù viene definito " Dio " (Col.2, 9: "è in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità") e come tale oggetto di adorazione ( Ebr.1, 6: "lo adorino tutti gli angeli di Dio ").
e) Gesù come Dio viene identificato con il LOGOS (Giov.1, 1; Scuola catechetica di Alessandria nel II e III sec. da Clemente [ fine II sec.-inizi IIIsec.]). Gesù " figlio unigenito generato ab aeterno, della stessa natura del Padre ma a lui subordinato" (Origene della Scuola catechetica di Alessandria [ fine II sec. inizi III sec.]).
POLEMICHE CRISTOLOGICHE E DEFINIZIONE DELLA DOTTRINA CRISTOLOGICA
- ARIO (256-336), influenzato dal subordinazionismo, affermò che l'essere di Dio non è partecipabile al Logos che è creato dal Padre dal nulla e quindi non gli è coeterno.
- ATANASIO (295-373) e Concilio di NICEA (325) affermano che il figlio è generato dal Padre, è unigenito e consustanziale al Padre (Credo).
- NESTORIO (patriarca di Costantinopoli V sec.) definì Gesù uomo-Dio con due nature e due persone.
- CIRILLO (patriarca di Alessandria) e Concilio di EFESO (431) affermano che in Gesù uomo-Dio vi è una sola persona.
- APOLLINARE ed EUTICHE monofisiti [1] affermano che in Gesù uomo-Dio vi è una sola natura.
- LEONE MAGNO e il Concilio di CALCEDONIA (451) affermano, e sarà la dottrina definitiva della Chiesa, che in Gesù uomo-Dio ci sono due nature ed una persona, quella divina.
[1] Monofisiti da Monos =unico e Fysis = natura.
DOTTRINA TRINITARIA
Nella Scrittura, oltre al termine, manca qualsiasi definizione concettuale, o una dottrina della Trinità. L'elaborazione di un dogma trinitario avverrà ad opera della speculazione teologica successiva all'epoca neotestamentaria e si compirà soltanto alla fine del IV sec.
Il problema cominciò ad essere posto nel corso del IIE sec. con la definizione della divinità del Figlio passando attraverso la speculazione filosofica ellenistica della Scuola catechetica di Alessandria, attraverso l'adozionismo (eresia predicata da Teodoto di Bisanzio che non riconosceva a Gesù la divinità ma solo una santità superiore per il fatto che Dio gli aveva affidato la salvezza degli uomini, condannata da papa Vittore e successivamente dal Concilio di Antiochia [268]) e il modalismo (eresia dei sec.IIE e IIIE che negava una distinzione reale di persone in Dio, e concepiva la Trinità come un "modo" diverso di manifestarsi di Dio, combattuta dagli apologisti Tertulliano e Ippolito e dai papi Zefirino [198-217] e Callisto [217-222]), trovò una prima conclusione nel Concilio di Nicea (325) e una sistemazione definitiva con la definizione della divinità dello Spirito nel Concilio di Costantinopoli (381).
DOTTRINA MARIOLOGICA
A parte la leggenda dell'annunciazione e della nascita miracolosa, la famiglia di Gesù nei vangeli resta abbastanza in ombra ed appare anzi in discordia con lui nei due sconcertanti episodi narrati da Marco in 3, 21 in cui i familiari tentano di catturarlo credendolo pazzo e in 3, 31-35 in cui egli rifiuta di ricevere la madre, i fratelli e le sorelle. Comunque nei vangeli Maria appare come una madre come tutte le altre, non solo ignara della sua missione, ma piuttosto preoccupata per quel figlio "strano"; inoltre negli altri libri del N.T. essa è pressoché ignorata del tutto.
Finché Gesù fu ritenuto un "santo", un "profeta" di Dio non scandalizzava nessuno che la sua famiglia fosse costituita da gente comune e che Maria fosse madre di numerosi figli: cinque maschi (Giacomo, Joses, Giuda, Simone) e un numero non precisato di femmine (Mc.6, 3).
Ma allorché si andò affermando la dottrina della divinità di Gesù nel II sec. si incominciò a lasciare in ombra tutto ciò che sembrava in contrasto con questo stato di Gesù e a costruire una figura di Maria confacente con la dignità del figlio: si diede credito e si rafforzò la tradizione della nascita miracolosa per intervento divino, della verginità prima e dopo il parto, fino a giungere al concilio di Efeso (431) in cui fu proclamata "madre di Dio ", forse sotto l'influsso dei culti di divinità femminili molto popolari nell'area mediterranea e soprattutto nell'Anatolia, dando così inizio al culto della madre di Dio in tutte le sue forme. Gli ultimi dogmi che la riguardano sono in ordine di tempo quello dell'Immacolata Concezione senza peccato originale, proclamato dal Concilio Vaticano I (1854) e quello dell'assunzione in cielo del suo corpo dopo la morte, proclamato da Pio XII nel 1950.
CULTO DEI SANTI
Iniziato come ammirazione verso quei cristiani che avevano testimoniato eroicamente fino alla morte la loro fede e assunti come modelli; proseguito come custodia dei loro corpi, è continuato come venerazione delle loro reliquie.
La commemorazione nel martirologio nel giorno della loro morte si trasforma nei secoli successivi in vere e proprie festività. La raffigurazione dei santi prima in forma pittorica nelle chiese e successivamente in forma scultorea apre la strada al vero e proprio culto, all'erezione di templi e santuari in loro onore, meta di pellegrinaggi, ad essi i fedeli rivolgono preghiere e suppliche, e chiedono grazie, i loro simulacri vengono portati in processione ecc.
Il culto di Maria e dei santi ha sostituito nella cultura del popolo i culti pagani delle religioni precristiane. A volte festività cristiane sono la continuazione di festività pagane con il semplice cambiamento di nome.
DOTTRINA DELL'ALDILA'
Nel racconto del povero Lazzaro e del ricco (Lc.16, 19-31) emerge la teorizzazione di un aldilà costituito dal "regno dei cieli" dove si trova Abramo, i patriarchi, Mosè ed i profeti e da un inferno, luogo di tormenti dove i cattivi bruciano nel fuoco.
Nei secoli successivi maturò la dottrina del "purgatorio",
inteso come terzo luogo dell'aldilà dove le anime, non meritevoli dell'inferno e neppure degne del paradiso, scontano una pena temporale in attesa di meritare il paradiso.
Il primo a parlare di pene temporali da scontare dopo la morte fu Clemente Alessandrino nel IIIE sec.
Nel VI sec. Cesario di Arles (m.nel 542) chiama "purgatorio" la pena temporale dopo la morte.
Gregorio Magno (540-604) enuncia la dottrina del purgatorio, ripresa nel XIII sec. da Tommaso d'Aquino e definita successivamente dai concili di Lione (1274), di Firenze (1439) e di Trento (1545-1563).
DOTTRINA DELLA STORIA
Nei testi del N.T. non emerge una concezione della storia, a parte gli spunti escatologici dei vangeli e dell'apocalisse. Sarà la riflessione dottrinale dei primi secoli, culminante con il pensiero di Agostino, a formulare una concezione della Storia vista come un tessuto di vicende umane e di interventi divini ordinati in un processo unitario in cui la Provvidenza è protagonista e ruotanti attorno ad alcuni avvenimenti chiave: la creazione, il peccato originale, la redenzione, il ritorno del figlio dell'uomo, la fine del mondo, il giudizio universale.
Concetto di Dio
Il Dio di cui parla Gesù non è concettualmente lo stesso Dio dell' ebraismo. I patriarchi che fondarono la religione ebraica erano padroni di torme di servi e schiavi, che trattavano alla stessa stregua dei loro armenti e dai quali esigevano sottomissione assoluta; il loro Dio non poteva che essere, al pari di essi, che un Dio padrone, esigente, geloso, severo e vendicativo. I patriarchi, proprietari di greggi e armenti, erano in continuo conflitto reale o potenziale con i vicini per i pascoli o per i pozzi per l'abbeverata, ciò spiega il loro carattere bellicoso e il loro Dio non poteva che essere un Dio degli eserciti.
Gesù invece era povero, figlio di poveri, equiparato agli schiavi, le cui aspirazioni sono opposte a quelle dei padroni: essi aspirano alla libertà, alla equiparazione umana, civile e giuridica con i "liberi", essi hanno "fame" di rispetto, di considerazione, di comprensione, di amore. Il Dio di costoro e quindi di Gesù è l'opposto del Dio dei padroni, dei patriarchi, è un " DIO PADRE " (pregate così: Padre nostro...Mt.6, 9; padre celeste = provvidenza, Lc.12, 22; parabola del figliol prodigo, Lc. 15, 11-31) buono, remissivo, misericordioso, che ama gli uomini " suoi figli ", che capisce le loro debolezze, che provvede alle loro necessità, che predilige i più deboli, i più indifesi, i più bisognosi soccorrendoli, che perdona infinite volte, che non aspetta chi erra, ma va a cercarlo (la pecorella smarrita Mt. 18, 12).
Concetto dell'uomo
Nel Vecchio Testamento gli uomini sono "servi di Dio" e disuguali in questa servitù: alcuni sono "servi prediletti" verso cui egli è più tollerante e benevolo, tutti gli altri sono reietti senza speranza.
Per Gesù invece gli uomini sono "figli di Dio", e come tali tutti uguali e, se fra essi ci sono dei prediletti, questi sono i meno fortunati: i poveri, i sofferenti, i deboli, i perseguitati, le pecorelle smarrite, coloro che sbagliano, ecc.
Nel Nuovo Testamento non si fa cenno dell'anima e della sua immortalità, anche se è ammessa un'esistenza dopo la morte ( se vuoi entrare nella vita eterna Mt.19, 16-17; Lazzaro e il ricco Lc.16, 19-31 ) ma si punta piuttosto alla "resurrezione dei morti".
Comandamento della carità
Dal latino "caritas"=benevolenza, dal greco χάρις, ιτoς, charis = amabilità, benignità, benevolenza.
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente ", "amerai il prossimo tuo come te stesso " (Mt.22, 37 e 39).
Circa il significato di "prossimo tuo " si veda la parabola del buon samaritano (Lc.10, 25-37), per la quale il "prossimo " comprende anche lo straniero, e perfino il nemico: "ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano " (Lc.6, 27-28).
E' da tenere presente anche la parabola della pecorella smarrita e quella del figliol prodigo, la quale illustra anche il valore dell'uomo stimato al di sopra di ogni bene terreno e di ogni ricchezza.
Il Cristianesimo, sviluppo di una delle sette ebraiche del II-I sec. a.C., prese vita dagli insegnamenti innovativi e dagli esempi di virtù di Gesù di Nazareth vissuto in Palestina al tempo degli imperatori romani Augusto e Tiberio. Si presentò essenzialmente come una Religione, ma ebbe anche dei notevoli risvolti nel pensiero filosofico e nei campi morale, sociale, politico ed economico. I vari concetti e precetti furono espressi dal fondatore in maniera episodica ed asistematica. Fu costituito in dottrina sistematica nei secoli successivi ad opera prima di tutti di Paolo di Tarso, poi dalla Scuola Alessandrina e successivamente dai vari concili episcopali. Dopo una prima fase eroica estesa fino agli inizi del IV sec., da Costantino in poi, ebbe inizio un periodo, fecondo di pensiero, di diffusione in Europa soprattutto ad opera dei monaci cenobiti. Con l'affermarsi del feudalesimo cominciò la decadenza con la sempre più diffusa ingerenza dei feudatari nella vita, nell'organizzazione e nella direzione della Chiesa. Per questa intromissione spesso si trovarono a dirigere parrocchie, monasteri, sedi episcopali e perfino a volte il papato dei personaggi mossi da tutt'altri interessi che da quelli religiosi ed evangelici e che conducevano un tenore di vita mondano.
Michelangelo Pucci
muϑοϛ
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Il Mytos e Lògos
In greco mytos designa un'espressione verbale inizialmente non in contrasto con logos.
Solo nel periodo tra l' VIII e il IV sec. A.C. i due termini si vanno differenziando in conseguenza dell'introduzione della scrittura e della maturazione della ricerca filosofica-scientifica-storica.
Dal punto di vista di chi formula l'espressione:
- una prima linea di demarcazione è rappresentata dalla scrittura per cui mytos = tradizione orale, logos = letteratura scritta. Questa demarcazione va però considerata non nel periodo storico, nel quale anche i mytoi sono scritti, ma nel momento genetico delle due espressioni:
il mytos nasce e si sviluppa nel periodo in cui non esisteva la scrittura ed è destinato ad essere trasmesso oralmente;
il logos si sviluppa successivamente all'introduzione della scrittura, nasce come espressione scritta ed è destinato ad essere trasmesso per iscritto.
- Una seconda linea di demarcazione è rappresentata dalla forma:
è mytos l'espressione in forma poetica,
è logos quella in forma prosaica.
- la terza linea di demarcazione è il modo del linguaggio:
è mytos l'espressione che usa un linguaggio simbolico e per immagini concrete;
è logos l'espressione che usa un linguaggio astratto.
- la quarta linea di demarcazione è la strutturazione del discorso:
il mytos procede per accostamento di immagini,
il logos procede attraverso una serie serrata di argomentazioni logiche.
Dal punto di vista del destinatario che riceve il messaggio:
- la quinta linea di demarcazione è la fascinazione:
è mytos l'espressione destinata ad essere ascoltata e quindi deve risultare piacevole, tale da esercitare una seduzione per tenere l'uditorio sotto l'incantesimo;
è logos l'espressione destinata ad essere letta che deve risultare utile per l'insegnamento che contiene.
- la sesta linea di demarcazione è la fascinosità del contenuto:
il mytos fa leva sul drammatico, sul meraviglioso, sul miracoloso per esercitare un'azione mimetica e suscitare una partecipazione emotiva,
il logos invece fa leva sull'argomentazione dei fatti.
- La settima linea di demarcazione è l'effetto destinato ad ottenere sul destinatario del messaggio:
il mytos è l'espressione che si indirizza alla parte irrazionale dell'uditore ed è diretta a suscitarne l'emotività;
è logos l'espressione che si indirizza alla parte razionale dell'ascoltatore ed è diretta a stimolarne la riflessione.
- L'ottava linea di demarcazione è data dall'uso privato o pubblico della parola:
nel mytos la parola è privilegio esclusivo di chi ne possiede il dono,
nel logos invece la parola appartiene nella stessa misura a tutti i membri della comunità, in quanto scritto il logos è portato in mezzo al pubblico, è l'espressione del gioco politico di una città democratica.
Michelangelo Pucci
E’ martedì, primo giorno settimanale di passeggiata. Ci incamminiamo lungo la via Cassia nella direzione di Arezzo. Dopo un primo tratto in fila per due, arriva l’ordine di ‘rompete le righe!’ e continuiamo in piccoli gruppetti lungo il margine destro della strada. Dopo circa un chilometro svoltiamo a destra per una stradina di campagna.
Ci accompagna un sole primaverile che va e viene dietro le nuvole. Chi, di nascosto, caccia le lucertole, chi con bastoni di fortuna, raccolti via facendo, batte i cespugli, chi caracolla avanti e dietro padre Granero che ci accompagna e che intrattiene il gruppo a lui più vicino con racconti sulla sua vita di studente. Dopo circa mezz’ora arriviamo ad una collinetta boscosa detta ‘il vulcano’ forse per la sua forma conica. I suoi declivi sono dolci e coperti da cespugli di piante varie e da radi alberi di pino. Nella piccola radura sulla cima organizziamo il gioco.
Ci dividiamo nelle due squadre dei soliti greci e troiani. Si tratta di una guerra finta in cui i componenti di ogni squadra, dopo aver preso posizione in zone opposte della collinetta, avanzano in direzione dei ‘nemici’ nel tentativo di conquistarne il territorio. Nell’avanzata ognuno procede nascosto fra i cespugli per non farsi vedere dagli avversari. Chi si espone ed è visto viene chiamato per nome, fatto in tal modo prigioniero, deve uscire dal gioco e ritirarsi nella radura. Vince la squadra che, eliminando tutti i ‘nemici’, ne conquista il territorio. Padre Granero è sempre pronto con bonarietà a dirimere il frequente contenzioso tra i contendenti. - “Ti ho visto!” – “No, non mi hai visto!” - . Mentre le avanguardie avanzano, alcuni della retroguardia si attardano fra i cespugli in attività di esplorazione autonoma del bosco. Vanno a costituire i ‘dispersi’ che non fanno tornare i conti nella numerazione dei prigionieri e lasciano incerto l’esito della ‘guerra’. - Cherubini … ! Belli … ! … Cherubiniii … ! Belliii … ! – Finalmente spuntano da campi opposti. Sono gli ultimi ‘dispersi’ … . Il primo guadagna la radura saltellando … , si era attardato dietro delle coccinelle di cui stringeva in mano un esemplare. Il secondo, un sognatore, si era fermato a studiare dei fiori di biancospino e raccolto una violacciocca.
Ora che siamo tutti possiamo tornare. Ci attende, nelle due ore di studio, l’ira di Achille per la perdita della sua bella Briseide!
Ottobre 1948. Nel primo pomeriggio, in comitiva, lasciamo Via Cernaia[1] diretti alla stazione Termini. Viaggiamo tutti insieme in un vagone dai sedili di legno. Resto tutto il tempo con il naso incollato al vetro del finestrino. Mi piace osservare il paesaggio: scorrono davanti ai miei occhi il fiume Tevere che si torce in numerose anse, le colline a declivio dolce e verdi di filari di vite così diverse dalle nostre brulle e pietrose, le pianure coltivate a granoturco, il lago Trasimeno, la Val di Chiana disegnata in ampi rettangoli delimitati da filari di pioppo e da ampi e diritti canali di prosciugamento. Scendiamo a Castiglion Fiorentino[2]. Ognuno trascinando la propria valigia, percorriamo faticosamente il tratto che ci separa dalla nostra meta. Al cancello del Rivaio[3]siamo accolti dal volto aperto, gioviale e scherzoso di Padre Granero che ci accompagna in camerata per una rinfrescata e per la sistemazione dei letti ognuno con le lenzuola e le coperte portate nel proprio bagaglio. A cose fatte scendiamo per la cena. Il refettorio è un ampio stanzone con la volta a botte dipinta, come le pareti, in colore beige.
Il pane bianco sulla tavola è veramente invitante. Ancora non lo si può toccare: la preghiera di ringraziamento del pasto non è terminata! All’ “amen” ci sediamo, ma ancora nessuno allunga la mano verso il cesto per non sembrare allupato! Ma la fame c’è, eccome! Timidamente, dopo alcuni secondi di esitazione, con movimento lento stendo la mano e prendo una bella fetta assaporandola con gli occhi. Al primo morso la masticazione si arresta con disgusto! … Ma che è? … Questo non è pane!
Guardo in faccia i dirimpettai e leggo nei loro occhi la stessa delusione! Sono laziali.
Più in là, altri continuano a mangiare con appetito! Sono toscani.
Non possiamo parlare! Durante i pasti vige il silenzio. Risuona nell’ampio refettorio, dal podio collocato tra la tavola dei professori e le tavolate degli alunni, la sola voce del lettore di turno: – Quando noi giugneremo a Santa Maria degli Angeli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo … costretti dalla fame … picchieremo e chiameremo e pregheremo (il portinaio) per l’amor di Dio con gran pianto, che ci apra, e quelli più scandalizzato dirà: “costoro son gaglioffi importuni, io gli pagherò bene come son degni”, e uscirà fuori con un bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involveracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone; se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, … o frate Leone, scrivi che in questo è perfetta letizia. –[4]
Incasso il messaggio. Ingoio il boccone e la delusione e continuo la cena a base di minestra. Osservo i più anziani che spezzettano il pane nel brodo della minestra; li imito … così il sapore è più accettabile.
Per l’eccezionalità dell’evento: l’arrivo di noi nuovi, il padre superiore dà il “Deo gratias”, parola magica che apre la conversazione.
L’effetto è un boato, non per l’urlo dei singoli, ma per la somma di settantacinque voci, che anche in tono normale, esplodono tutte insieme. Noi nuovi arrivati siamo bombardati dalle domande dei più anziani che vogliono sapere i nostri nomi, da dove veniamo … - ah! Dalla Calabria! – la loro voce si mozza, mentre i loro occhi ci si fissano addosso nella meraviglia che siamo degli esseri umani … come gli altri ragazzi!
Esaudite le loro curiosità, chiediamo del pane … - è senza sale! così si usa in Toscana!
“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui … “ [5].
Per Dante è una delle pene connesse all’esilio. Per me sarà un sacrificio derivante da una scelta più o meno indotta.
[1]Via di Roma, poco distante dalla stazione Termini, dove ha sede il Superiore Provinciale dei padri Maristi.
[2]Comune in provincia di Arezzo ai margini orientali della Val di Chiana.
[3]Nome della contrada di Castiglion Fiorentino dove sorge il santuario della Madonna omonima e della scuola dei Maristi, congregazione religiosa votata al culto di Maria.
[4]Da “I fioretti di S. Francesco”
[5]Dante Alighieri: “La divina Commedia" – Paradiso, Canto XVII, 58
Siamo nel mese di settembre del 1950. Siamo rientrati dalle vacanze da 25 giorni. Prima di cominciare il regolare corso delle lezioni viene programmata la gita annuale sul Monte Sant'Egidio. E’ una montagnola di1057 metri sul livello del mare sita a sud-est di Castiglion Fiorentino e a nord-est di Cortona. Partiamo di buon mattino a piedi per coprire un percorso di una decina di chilometri. Ai più robusti della IV e V classe il compito di portare a spalla la marmitta, il pentolame, i piatti di carta, le posate e le cibarie crude.
Per la prima metà del tragitto seguiamo una stradina sterrata fino a Ristonghia, piccolo nucleo di case a circa500 metridi altezza, la seconda metà è un sentiero che si inerpica tra arbusti e radi alberi.
Per ingannare la stanchezza delle gambe, che si fa sentire a mano a mano che saliamo, ci teniamo su con ‘la montanara’, ‘la pastorela’, ‘la tradotta’, ‘la canzone del Piave’ e altre del repertorio.
Giunti in cima respiriamo a pieni polmoni. Dopo alcuni minuti di riposo, diamo inizio all’esplorazione nei dintorni anche allo scopo di procurare ai cuochi sterpaglie e legnetti secchi per cuocere la pasta e la carne. Il lato sud della cima è incorniciato da un boschetto di larici. A sud ovest si intravedono in basso i tetti di Cortona. Ad ovest ammiriamo in tutta la sua estensionela Valdi Chiana. Ad est il territorio si estende ondulato tra valli e alture, tra le quali i monti Castel Giudeo, Ginozzo e della Croce, un po’ meno elevati del punto in cui siamo. A nord est in una valle, che a tratti si allarga e a tratti si restringe, scorre il torrente Nestore, affluente del Tevere. La radura adiacente il boschetto è coperta di lamponi, ne mangiamo e ne raccogliamo in abbondanza anche per portarne a casa. E’ la prima volta che vedo lamponi! Mi ricordano le more dei rovi che fanno da siepe ai campi della Marina di Tortora, delle quali ero solito fare delle scorpacciate.
Il pranzo è servito caldo e fumante. Ci sparpagliamo per la radura, ciascuno alla ricerca di un sedile di fortuna. Chi trova un sasso, chi un tronco, chi uno spuntone di roccia, chi, infine, si siede per terra sull’erba. Anche se bisogna evitare di frequentare sempre gli stessi compagni, io prendo posto nelle vicinanze di Reale. E’ un compagno di classe, laziale, capelli neri pettinati di traverso sulla fronte, buono, quanto è alto, tanto è timido, per questo oggetto dei miei frizzi e scherzi dai quali si schermisce lanciando dei gridolini come un bambino.
Il ritorno è accompagnato dai soliti canti, ma le voci sono più stanche come le gambe e a sera non abbiamo bisogno di contare le pecore per addormentarci profondamente.
E’ spesso meta delle nostre passeggiate. Il posto, a tre-quattro chilometri a nord di Castiglion Fiorentino, ha un incanto particolare per la presenza di boschetti e di un ruscello che gorgoglia allegro tra i sassi e la vegetazione. Di qua c’è qualche casetta di contadini, di là una bella chiesetta che occhieggia tra i rami delle querce.
Cresciuto quasi nel greto del Noce, abituato a passare il tempo nel periodo estivo trastullandomi nei giochi di canalizzazioni e cascatelle e diguazzando coi piedi nell’acqua, non mi pare vero di trovarmi anche qui sulle rive di un corso d’acqua.
Mentre gli altri si sfrenano a gettare sassi nelle conche divertendosi alle grida di chi viene colpito dagli schizzi, mi diverto anche qui, in solitario, con le mani nell’acqua a creare deviazioni e piccoli corsi artificiali a diversa pendenza per osservare l’effetto erosivo della corrente nelle anse. E’ qui che nel mio immaginario ambiento, chissà perché, la favola del lupo e dell’agnello. Per me è il paradiso terrestre! Peccato che il tempo passa rapido ed in breve bisogna lasciare tutto e rientrare al Rivaio!.