Un’educazione intesa come guida e aiuto a far crescere e a far sviluppare una personalità equilibrata mentalmente, emotivamente, socialmente e moralmente di un nuovo essere umano deve avere inizio fin dal suo concepimento. Egli deve poter percepire, in ogni fase del suo sviluppo, di essere voluto, desiderato, atteso, deve essere curato con amore.
Il terreno di coltura ideale per una corretta educazione è una famiglia stabile, non importa se originata da un matrimonio o da una unione di fatto, costituita da un uomo e da una donna, fra loro uniti da solidi sentimenti di amore.
Per il successo dell’educazione sono importanti le esperienze sociali e oggettive del bambino.  

Esperienze sociali

La famiglia è la prima istituzione preposta all’educazione, come primo ambiente di formazione.
Il neonato, il bambino, il fanciullo, l’adolescente hanno bisogno, come punti di riferimento, di figure maschili e figure femminili, che rappresentino modelli con cui essi possano confrontarsi, esempi da imitare, in cui trovare sostegno, guide e moderatori.
Il maschietto ha bisogno di una figura maschile che funga da termine di confronto e scontro nella fase edipica e da modello da imitare nei momenti di costruzione della sua identità maschile; ha bisogno di una figura femminile che, nella fase edipica, rappresenti il termine cui attaccarsi per l’esercizio costruttivo della sua mascolinità.
La femminuccia ha bisogno di una figura femminile che sia il termine di confronto e scontro nella fase edipica e da modello da imitare nei momenti di costruzione della sua identità femminile; ha bisogno di una figura maschile, essenziale termine di attaccamento per l’esercizio costruttivo della sua femminilità.
Per questi effetti è necessario che la stabilità familiare duri almeno per tutto il periodo dell’età evolutiva dei figli.
Nella loro funzione di guida e di moderazione queste figure devono essere in grado di somministrare con equilibrio soddisfazioni e frustrazioni.
I genitori tengano sempre presente che il rapporto con i figli deve essere basato sul rispetto. Il rimprovero o la punizione, quando necessari, non devono essere umilianti o fatti percepire come privazione di amore, ma sempre come mezzo per ristabilire un equilibrio rotto di regole di vita. La leva più importante della formazione del carattere dell’individuo è la sua fiducia  nelle proprie capacità e il successo nelle proprie attività, da cui deriva il suo senso di sicurezza. Tutto ciò sarà possibile se i genitori per primi hanno fiducia nelle capacità e nelle possibilità di successo dei figli, fiducia esternata con espressioni e con l’affido di incarichi che portino al successo. 

Esperienze oggettive

Sono esperienze sulle cose e con le cose in un ambiente che dia sicurezza.
La casa è il primo ambiente oggettivo in cui il bambino compie le prime esperienze sensoriali,  visive, uditive, tattili, olfattive, gustative,  sugli oggetti e con gli oggetti di arredamento e con le cose naturali fuori dell’abitazione. Dall’età dell’autonomia in poi calamitano l’interesse e l’attenzione dei bambini la terra, l’acqua e il fuoco. Essi amano scavare buche, spalare il terriccio o sabbia, far scorrere l’acqua, accendere il fuoco, arrampicarsi sugli alberelli, giocare con piccoli animali: insetti, anfibi e mammiferi, manovrare i giocattoli, soprattutto quelli con i quali è possibile interagire e che è possibile smontare e rimontare. Questi sono importanti mezzi per guidare lo sviluppo dei preadolescenti, dalla culla all’adolescenza, a patto che siano scelti con oculatezza; non tutti i giocattoli sono equivalenti: ogni fase di crescita richiede una determinata categoria di mezzi ludici atti a stimolare attività che alimentino gli interessi, esercitino le capacità intellettuali ed operative proprie di quell’età e proiettino lo sviluppo verso la fase successiva.
E’ importante che gli educatori li lascino liberi di fare queste esperienze pronti a soddisfare ogni loro richiesta di aiuto senza sostituirsi a loro e a lasciarli fare da sé non appena essi manifestino l’intenzione di proseguire da sé, limitandosi a garantire, sia preventivamente sia nel corso delle attività, che le esperienze dei minori avvengano nel rispetto delle regole di massima sicurezza. Una delle regole d’oro dell’educazione è che il bambino quante più esperienze fa e quanto più fa da sé tanto più e meglio impara e tanto più e meglio sviluppa le sue capacità.

 

 

L'educazione

Per capire che cos’è l’educazione dobbiamo tener presente il concetto di cultura.

Gli animali risolvono i problemi esistenziali di nutrimento, di riproduzione e di organizzazione sociale avvalendosi degli istinti e di apprendimenti elementari che si avvalgono del meccanismo dell’imitazione e del condizionamento (riflessi condizionati).

Gli esseri umani, dall’epoca in cui cominciarono ad usare strumenti e a fabbricarli nel paleolitico e continuarono a perfezionarli nel neolitico, da quando via via nelle età del rame, del bronzo e del ferro svilupparono  le tecniche di addomesticamento e allevamento del bestiame, di agricoltura, di costruzione di edifici, di tessitura di stoffe per vestirsi, della lavorazione della terra cotta, da quando hanno imparato a comunicare con parole e frasi e ad arricchire il loro linguaggio, dal punto di vista lessicale, grammaticale e sintattico, da quando hanno incominciato a vivere in comunità sempre più numerose e strutturate, dal momento in cui inventarono la scrittura e ad affinare i loro comportamenti sociali, per risolvere i loro problemi esistenziali hanno dovuto servirsi di tecniche culturali che sono diventate nel corso dei secoli sempre più numerose e complesse.

Tanto numerose e complesse che per apprenderle le nuove generazioni non potevano più contare sulla sola imitazione ed sulle altre modalità di apprendimento semplice. Erano necessari un tempo e un’attività intenzionale, da parte di alcuni adulti a ciò preposti e in pieno possesso di quelle tecniche, per l’iniziazione, l’ammaestramento, l’istruzione e la formazione dei giovani alle tecniche culturali. Questa attività è l’educazione, che con il passare dei secoli, è divenuta essa stessa un complesso di tecniche, una professione e un’arte di specialisti ed ha richiesto sempre più tempo. Oggi i giovani concludono gli studi fra i 25 e i 30 anni. Occorre cioè la terza parte della durata della vita media per acquisire presso le strutture formative la cultura necessaria per esercitare una professione. Ma il processo educativo non si conclude a questo limite perché il professionista prosegue per tutta la sua vita ad arricchire autonomamente la sua cultura per affinare le sue competenze al fine di risolvere i problemi sempre nuovi e diversi della sua professionalità.

L’educazione, se è nata come attività di trasmissione della cultura dalla generazione adulta a quella giovane, oggi è attività che non si limita a trasmettere soltanto, ma istruisce le menti, induce a comportamenti corretti e forma abilità e capacità a tutti i livelli, soprattutto quella di creare nuova cultura.

 

                                 Michelangelo Pucci

 

L'uomo si è evoluto nel corso di milioni di anni grazie alle mutazioni genetiche e alla selezione naturale che ha operato anche in virtù delle acquisizioni culturali. A mano a mano che il bagaglio dei saperi e delle tecniche operative è aumentato quantitativamente e qualitativamente è occorso sempre maggior tempo e attività sempre più specifiche e diversificate da parte di persone specializzate nella sua trasmissione dalla generazione adulta a quella giovane. Inizialmente, quando questo bagaglio era limitato a saperi e a tecniche elementari è stato sufficiente che i giovani li apprendessero imitando gli adulti. Successivamente è stato compito dei genitori, poi degli anziani della comunità trasmetterli. Con la scoperta della scrittura e lo sviluppo delle varie arti, dalla letteratura alla filosofia, dalle produzioni artigianali alla creazione artistica in architettura, scultura e pittura, è stata necessaria una organizzazione sempre più complessa e specializzata per insegnarli. Il complesso dei saperi, delle tecniche e delle arti che regolano la vita umana è chiamato Cultura. L'attività di trasmissione della cultura è detta Educazione. Negli ultimi due secoli si è fatta strada l'idea che l'educazione non è solamente trasmissione, ma anche e soprattutto insegnamento a creare e a promuovere la cultura.
Per la verità, per sua stessa natura, la cultura è dinamica, nel senso che l'uomo fin dai millenni più remoti l'ha modificata secondo i suoi bisogni, l'ha migliorata e ad arricchita progressivamente, ma nessuno gli insegnava a farlo. In quest'ultimo secolo la scuola è andata modificandosi nei metodi e nei contenuti proponendosi consapevolmente di insegnare a fare cultura.

 Il termine "autorità" può indicare le persone fisiche preposte ad organi che esercitano un potere (le autorità regionali), anche il complesso delle persone di un organo (l’autorità giudiziaria, l’autorità di pubblica sicurezza) o anche persone fisiche particolarmente competenti e versate in una disciplina o arte (il prof. Tali è un’autorità in critica d’arte). 
Il vocabolo indica pure dei concetti astratti, a seconda del contesto può significare ‘superiorità’ (la nostra squadra ha vinto con autorità), anche stima, fiducia, credito di cui una persona gode per doti, qualità e meriti acquisiti in un determinato campo (il prof. Caio gode di una grande autorità nella medicina), come pure testimonianza o esempio autorevole (lo dico sulla base dell’autorità di Aristotele). 
In ultimo designa il potere legittimo di una persona di determinare, di decidere, di farsi obbedire, di condizionare, di esercitare una guida sulla volontà o sullo spirito di altre persone. 
Questo potere può discendere da un diritto naturale (l’autorità dei genitori nei confronti dei figli minorenni), dall’ordinamento giuridico (l’autorità amministrativa, l’autorità degli educatori scolastici), da libera scelta dei soggetti (le autorità politiche), dalle qualità, dalle doti, dai meriti personali, dal carisma di particolari personalità che attirano la stima e la fiducia di chi a loro si affida informalmente. 
Il vocabolo ‘autorità’ discende da quello latino ‘auctoritas’, che a sua volta deriva dal verbo ‘augeo’ che si traduce in italiano con ‘faccio crescere’, ‘faccio aumentare’, ‘faccio ingrandire’, ‘rendo fecondo’, ‘innalzo, arricchisco’ uno. 
Da ciò si deduce che il vero senso dell’autorità non è quello di esercitare comunque un imperio, un dominio, ma quello di promuovere la crescita, lo sviluppo, la produttività, l’elevazione, l’arricchimento morale ed intellettuale dei soggetti. In questa prospettiva l’autorità non è l’esercizio di un dominio, ma la prestazione di un ‘servizio’ a favore degli altri. 
Il Maestro per eccellenza nato a Betlemme disse: “il figlio dell’uomo … non è venuto per essere servito, ma per servire …” (Matteo 20, 28). Agostino di Tagaste nel V secolo fondava il rapporto maestro-discepolo sull’amore (De catechizandis rudibus). Il pedagogista Raffaello Lambruschini nel 1800, assumendo una posizione rivoluzionaria per i suoi tempi ma in piena consonanza con i suoi due precedenti ispiratori, affermava che l’educatore nell’esercizio della sua autorità deve porsi come colui che esplica un servizio nei confronti dell’educando.
Se nelle società rette da governi dispotici l’autorità è identificata con il potere e si confonde con il dominio, nelle società democratiche invece, nelle quali l’esercizio del potere è sempre più l’effetto di una delega popolare, si va sempre più affermando il concetto di un’autorità intesa come servizio sconvolgendo non solo i rapporti politici, ma ogni altro tipo di rapporto sociale, da quelli familiari a quelli di lavoro, da quelli educativi a quelli burocratici o, in genere, a quelli che si instaurano in uno qualunque dei servizi pubblici. 
Questo però non vuol dire che i destinatari del servizio diventino arroganti nuovi padroni, titolari di un dominio rovesciato. Fra i due termini del rapporto vi è sempre uno squilibrio, non umano, non civile, ma di competenza. Da una parte vi è una competenza messa a disposizione, dall’altra vi è richiesta di beneficiarne. La messa a disposizione della competenza avviene in obbedienza ad una disciplina costituita da regole poste a garanzia delle due parti e da un codice non scritto che suggerisce toni e modi umani e civili tali da obliterare quello squilibrio.

                                                                 Michelangelo Pucci

Gli uomini sono per natura portati ad associarsi. L'istinto per natura, il bisogno per cultura inducono maschio e femmina ad unirsi principalmente per produrre la prole, per nutrirla, difenderla ed educarla. La famiglia è il nucleo originario della società, nella quale già appare la differenziazione dei ruoli e dei compiti. Ma la famiglia nucleare non è sufficiente per assicurare sempre e comunque la sopravvivenza. La raccolta della frutta, dei germogli, delle erbe, dei  molluschi, la caccia agli animali selvatici richiedono la collaborazione di più adulti appartenenti a famiglie diverse; più famiglie si riuniscono in tribù. Quando la caccia non è più sufficiente si passa all'allevamento del bestiame, che richiede un allargamento ulteriore della famiglia che diviene patriarcale. In seno a questa i ruoli e i compiti si differenziano ancora. Aumentando la popolazione non è più sufficiente la raccolta dei frutti spontanei per cui si rende necessaria l'agricoltura. Questa comporta una maggiore efficienza e diversificazione sociale richiamando e riunendo un numero sempre maggiore di persone in centri abitativi più estesi che assicurino anche i servizi. Si arriva così a costituire le città con la loro organizzazione amministrativa e politica. L'associazione di più città porta all'istituzione degli Stati. Città e Stati nel loro sviluppo politico si trovarono ad attuare progressivamente i modelli di organizzazione politica e sociale monarchico, aristocratico e democratico. Con questo non vuol dire che tutte le città e Stati si siano sviluppati secondo questo schema tutti contemporaneamente, né che tutte le società abbiano percorso lo stesso iter evolutivo. Ci sono ancora oggi degli uomini che vivono allo stato tribale, altri sono fermi all'organizzazione patriarcale, altri ancora per millenni sono rimasti sotto il potere monarchico, altri infine, dopo aver percorso l'intero iter dei modelli, sono retrocessi ad uno stadio precedente.
Da quanto detto risulta che la successione dei modelli di sviluppo non è cronologica né storica, ma interpreta uno schema ideale di sviluppo politico e sociale valido per intero in alcune epoche storiche e per alcuni popoli delle civiltà occidentali: Greci e Romani nell'epoca classica e popoli dell'Europa occidentale in quella contemporanea.

Il modello aristocratico porta alla divisione della società dei cittadini (gli uomini liberi) in due classi disuguali per numero e per diritti: la classe nobile, ristretta per numero, titolare dei diritti politici e quella del popolo, più numerosa, costituita dagli uomini liberi:  proprietari produttori, mercanti, intellettuali, ecc., comunque fruenti di un reddito e come tali obbligati a pagare un contributo per l'amministrazione della Polis e tenuti al servizio militare ma non titolari dei diritti politici. Le persone che per vivere prestavano, o per conto proprio o per conto di altri, un lavoro manuale retribuito non erano ritenute uomini liberi e quindi non cittadini. 
I rapporti cambiano in seguito alle guerre esterne. L'apporto determinante per la vittoria sui nemici della seconda classe induce la classe dominante a riconoscere a più riprese l'esercizio dei diritti politici di voto attivo e passivo a cerchie sempre più allargate di fruitori con censo sempre più basso, fino a comprendere quelli che fossero in grado di sostenere le spese per il proprio armamento nell'esercito. Si arriva così al modello democratico. Non è ancora la democrazia, come la intendiamo oggi, aperta all'esercizio dei diritti politici da parte di tutti, senza alcuna distinzione. E' una democrazia che riconosce i diritti politici a tutti i cittadini, solo che erano ritenuti cittadini solo i maschi che fruivano di un certo censo. Per giungere al modello di democrazia moderno bisogna arrivare alla fine della seconda guerra mondiale (1939-1945) quando viene riconosciuto il diritto di voto attivo e passivo anche alle donne.

Al modello aristocratico si perviene per indebolimento di quello monarchico. Per la conquista, il mantenimento, la difesa, il governo e l'amministrazione del regno il re ha bisogno di un esercito, di generali, di governatori, di amministratori, di cortigiani. Queste figure vanno a costituire una classe scelta e privilegiata educata a gestire il potere. Quando il potere monarchico si indebolisce gli subentra quello di questa classe che, nel gestirlo, si dà delle regole stabilite di comune accordo. Si mette in moto così un nuovo sistema politico fondato non sulla forza ma sulla legge, espressione di una pluralità di soggetti. Ne è un esempio la costituzione della Repubblica a Roma dopo il periodo monarchico, dove il potere passò nelle mani delle gentes patrizie che lo esercitavano per il tramite del Senato, l'affermazione delle poleis nella prima fase del loro sviluppo nella Grecia postmicenea.

Una riflessione sui sinonimi ci porta alla conclusione che il significato di un termine non coincide perfettamente con quelli di ciascuno dei suoi sinonimi. Qui se ne riportano alcuni esempi. Per uno studio più esteso ed approfondito si rimanda ad opere appropriate, in modo particolare al Dizionario dei sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo.

Il modello monarchico, con il potere assoluto di una sola persona, si afferma in regime di economia agricola e artigianale, che richiede una vita con residenza stabile in un territorio. La stabilità favorisce la costruzione di abitazioni durevoli riunite in conglomerati urbani, nei quali si perviene a una maggiore articolazione dei ruoli sociali e ad una distinzione in classi, in risposta ai molteplici bisogni che emergono in una situazione di aggregazione molto numerosa. Il potere monarchico si presenta in maniera molto frammentata con un re per ogni città. Successivamente le lotte tra le città portano in un primo tempo al predominio di una sull'altra, poi gradualmente al predominio di una su un numero sempre più grande di altre fino a costituire regni che dominano sul territorio occupato da un popolo e a fondare imperi che soggiogano più popoli.  Il monarca ha, di solito, carattere politico religioso e militare. I rapporti sociali sono regolati da leggi decretate dal monarca stesso. La difesa è affidata ad un esercito che svolge anche le funzioni di polizia interna. Le attività economiche sono controllate dal monarca, direttamente nei regni di piccola estensione come nella Grecia preclassica e indirettamente nel caso di un territorio molto vasto come nei grandi regni e negli imperi come in Egitto, in Persia, nell'area mesopotamica, ecc.  I consociati sono sudditi e servi del monarca. La loro vita, i loro beni, la loro condizione dipendono dal suo arbitrio. In questo modello vige tendenzialmente il matrimonio monogamico.

Michelangelo Pucci

 

 

 

Il modello patriarcale è un tipo di associazione culturale più evoluto della tribù; risale all' VIII-VII secolo a.C. nella regione mesopotamica e nelle aree attigue. Mentre l'economia della tribù si basa sulla semplice raccolta dei prodotti, l'economia del gruppo patriarcale si fonda prevalentemente sulla produzione delle risorse attraverso la pastorizia. Il gruppo, non più branco, è più coeso ed è costituito da una famiglia allargata, di solito nomade per l'esaurimento dei pascoli e conseguente spostamento in altri siti per lo sfruttamento successivo di altri pascoli, il cui capo esercita un potere carismatico derivante dal fatto che contemporaneamente è anche il padre padrone del gruppo. Pur essendo tendenzialmente poligamico, egli accetta che i figli e le figlie si creino proprie famiglie che ammette nella consociazione. Fanno parte della consociazione anche schiavi e schiave con le incombenze più varie. La difesa del gruppo è affidata ai componenti maschi, liberi e servi, che, nel momento dell’emergenza, si armano e combattono. Il capo, anche indebolito e vecchio, non solo non è scacciato dal gruppo, come avveniva nel branco, ma continua a governare rispettato e venerato da tutti i componenti del gruppo. Esempi tipici di questo modello sono le famiglie dei patriarchi biblici.
 
Michelangelo Pucci

 

 

 

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