Ghéssi na funnigària
= Essere un’imposta gravosa
La fondiaria, in vigore fino agli anni ’50, era un’imposta che gravava sui fondi agricoli in modo proporzionale. Potevano pagarla senza sacrifici tutti coloro che ricavavano dai loro fondi non solo il necessario per i consumi della famiglia, ma anche un certo soprappiù da vendere per ottenere un reddito monetario con il quale avere la possibilità di pagare anche l’imposta.
La situazione dei piccoli proprietari era diversa, i loro pochi terreni non solo non producevano un sovrappiù ma spesso producevano solo una parte del fabbisogno annuale della famiglia. Questi piccoli produttori vivevano in ristrettezze sia per la scarsità degli alimentari sia per l’assenza di un reddito monetario. Quando veniva consegnata loro la cartella della fondiaria era una tragedia perché non potevano pagarla. Trascorsi i termini, arrivava l’usciere per sequestrare le sedie, o il tavolo, o il letto, o l’asino, o il maiale. Per essi la ‘fondiaria’ era una cosa molto brutta, dannosa e fonte di grossi fastidi.
Di qui il detto. Tacciare una persona di ‘essere una fondiaria’ era come dire che essa costituiva una fonte di gravosi e ricorrenti fastidi da cui non ci si poteva liberare. Venivano definiti ‘na funnigària’ la moglie incapace nelle faccende domestiche e nei lavori dei campi, un figlio andicappato o fannullone o ammalato, un familiare a carico inabile al lavoro e così via.
Michelangelo Pucci
Ghè cumi lu càvulu jurùtu, tùttu quiru che ri féaji ghè ppirdutu!
= (letteralmente) è come il cavolo spigato, tutto ciò che gli fai è perduto!
E’ un detto che si avvale di una similitudine. Il cavolo è edibile finché la pianta è tenera, quando caccia il fiore e poi la spiga le foglie si induriscono e non sono più commestibili. Nella coltivazione le cure con le relative fatiche e spese hanno un senso finché il prodotto è utilizzabile, quando non lo è più le cure divengono inutili per la pianta e uno spreco di energie e danaro per il contadino.
L’educazione è come la coltivazione. Le cure e le attenzioni educative hanno un senso finché il soggetto è giovane e/o ricettivo. Nel momento in cui egli diviene o si crede maturo, ogni intervento educativo nei suoi confronti è inutile o vano, comunque sprecato.
Più in generale, ogni consiglio, ogni aiuto prestato a chi lo disattende per presunzione è sprecato.
Michelangelo Pucci
Ghè cumi lu càvulu jurùtu, tùttu quiru che ri féaji ghè ppirdutu!
= (letteralmente) è come il cavolo spigato, tutto ciò che gli fai è perduto!
E’ un detto che si avvale di una similitudine. Il cavolo è edibile finché la pianta è tenera, quando caccia il fiore e poi la spiga le foglie si induriscono e non sono più commestibili. Nella coltivazione le cure con le relative fatiche e spese hanno un senso finché il prodotto è utilizzabile, quando non lo è più le cure divengono inutili per la pianta e uno spreco di energie e danaro per il contadino.
L’educazione è come la coltivazione. Le cure e le attenzioni educative hanno un senso finché il soggetto è giovane e/o ricettivo. Nel momento in cui egli diviene o si crede maturo, ogni intervento educativo nei suoi confronti è inutile o vano, comunque sprecato.
Più in generale, ogni consiglio, ogni aiuto prestato a chi lo disattende per presunzione è sprecato.
Michelangelo Pucci
Féa’ lu crijéatu
= Fare un dono in atto di sottomissione
Crijéatu, oltre che opera del creatore, significa servo, (per metonimia) atto di servizio, atto di cortesia, atto di favore, dono che indica sottomissione.
Per definirsi crijéatu l’atto di cortesia o il dono, spesso un dovere, deve avvenire ad opera di una persona di rango inferiore a beneficio di una persona di rango superiore, il cui atto corrispondente è lu pijacìri, non un dovere ma una benevola concessione.
Féa’ lu crijèatu, fare il servo, compiere un atto di servizio, o di cortesia, o di favore, fare un omaggio in segno di sottomissione.
R’èggiu fàttu lu crijéatu pi n’ànnu e quìssu ghè lu bensirivùtu! L’ho servito per un anno e questo è il benservito!
Michelangelo Pucci
Dd’àsini si trùzzani e li varlìeddi si sc’càsciani
Gli asini litigano dandosi urtoni e i barili si rompono
Cu sìemina spìni nunn édda jì scàvuzu
= Chi semina spine non deve andare scalzo.
Cu nun téni nnéndi chi fféa’ pìglia la gàtta e ra pìettina
= Chi non ha nulla da fare prende il gatto lo pettina.
Cu nun fràvica e nu mmarìta, nun sàpi nnéndi di la vìta
= Chi non costruisce una casa e non sposa una figlia, non conosce i problemi della vita.