Il letto ha sempre rispecchiato lo status sociale della persona e della famiglia sia per il corredo utilizzato sia per le dimensioni.
Per il primo aspetto i letti dei poveri avevano il piano di tavole, il saccone ripieno di spoglie di granturco o di paglia, coperte di ruvida lana; i letti dei ricchi avevano il piano di rete metallica elastica, il materasso di lana, lenzuola di morbido lino o fine cotone, coperte di soffice lana e trapunte di lana o di piume d’oca.
Per il secondo aspetto i letti si distinguono in due categorie:
“Lìetti grànni” erano o i letti doppi, a due piazze, o i letti pluriposto. I primi erano e sono i letti degli sposi o letti matrimoniali. I secondi erano presenti sia nelle locande di un tempo ed erano destinati ad ospitare una pluralità di avventori, sia nelle case dei poveri per accogliere tutta insieme la numerosa prole. Li “lìetti grànni”, per la loro ampiezza, sono il simbolo della comodità e della spaziosità, in essi ci si può coricare nel mezzo o da un lato o dall’altro senza correre il pericolo di cadere durante il sonno, a meno che, in un letto superaffollato, non ci si ritrovi proprio sul ciglio!.
“Lìetti strìtti” erano i letti singoli o a una piazza, i letti monoposto; destinati ai “single”, simbolo di libertà, ma anche di scomodità per ristrettezza spaziale e, per questo, di situazione di difficoltà che richiede capacità di adattamento. Chi nelle circostanze più difficili si sa adattare sceglie soluzioni che implichino il minore rischio possibile di subire danni. La persona accorta, ritornando alla metafora, nel letto stretto non si corica sull’orlo, la caduta durante il sonno e l’inevitabile bernoccolo in testa sarebbero certi, ma si accomoda nel centro del letto e così riduce di molto le possibilità di precipitare sul freddo pavimento. Il popolo tortorese si è sempre distinto per la capacità di adattamento; a lìettu (ahimè quasi sempre) strìttu s’è (la maggior parte delle volte) sémbi curcòatu ‘mmìenzu, anche se non sono mancate e non mancano singole persone a cui ha difettato e difetta questa virtù!.
Michelangelo Pucci