Derivante dal sostantivo ‘cannéla’, che viene dal lat. candela, a sua volta dal verbo candeo (= essere bianco, rifulgere, essere infuocato),
Dallo spagnolo ‘buscar’ (cercare). Nel termine c’è l’idea del chiedere, non un chiedere da pari a pari, ma il chiedere da inferiore a superiore.
Uno dei primi vocaboli che si leggono nel ‘Dizionario del dialetto tortorese’ è ‘abbachéa’. E’ un verbo quasi esclusivamente usato nella terza persona nelle espressioni: mi, ti, ri, ni, vi, ri ci abbàca, abbacàva, abbacàji, ecc. molto comuni in molti dialetti meridionali.
Quando una persona si preoccupa eccessivamente per un qualche cosa, quando se ne dà troppo pensiero, l’amico esclama: ‘ti ci abbàca!’ volendogli dire ‘non te ne dar pensiero!’, ‘non hai altro da pensare!’.
Quando qualcuno si affatica eccessivamente nella realizzazione di una qualche cosa senza che i suoi sforzi approdino a risultati utili, l’amico esclama: ‘ti ci abbàca!’ nel significato ‘non ti ci distruggere!’, ‘non perderci tempo!’, ‘non sprecarci fatica!’, ‘non hai altro da fare!’, ‘chi te lo fa fare!’.
Volendo capire come si arriva a queste traduzioni dobbiamo rifarci all’etimologia latina della parola. Essa deriva dal verbo intr. latino ‘vacare’, in Cesare e Ovidio ‘essere vuoto’, in Livio e Cicerone ‘non essere occupato’, in Quintiliano ‘aver tempo per …’; accogliendo quest’ultima accezione, l’espressione ‘ti ci abbàca!’ si traduce in senso proprio ‘hai tempo per pensieri o fatiche inutili!’ oppure ‘hai tempo da perdere!’
Michelangelo PUCCI