Abbusc'còa'

Dallo spagnolo ‘buscar’ (cercare). Nel termine c’è l’idea del chiedere, non un chiedere da pari a pari, ma il chiedere da inferiore a superiore.

Chi ha bisogno si trova sempre in una posizione di subalternità rispetto a chi possiede. Chi chiede in questo stato assume un atteggiamento di preghiera conscio che potrebbe non ottenere per cui usa parole volte a commuovere chi ha la possibilità di dare.
Chi ‘véad’abbuschénnu’ è l’indigente, che non ha nulla e dipende dalla ‘misericordia’ di chi ha. Il miserabile, teme di rivolgersi al ricco che non ha mai sofferto la fame, potrebbe non capirlo e scacciarlo, invece chiede aiuto al povero che ha qualcosa da dare, ma che, soffrendo di qualche privazione, è in grado di capirlo. Con lui ha degli argomenti per convincerlo: ‘pi dd’anima di lu prigatòriu di màmma tùva …’, pi stu piccinìnnu chi tténisi mbràzza …’. Di fronte a questi argomenti, non c’è povertà che tenga …, si divide quel poco che si ha e si dà.
Il risvolto del chiedere è l’ottenere. In questo senso ‘s’abbusc’ca’ na zuprisséata’ (si ha in regalo una soppressata) anche se non la si è richiesta. In quest’accezione anche chi non è pezzente ‘abbùsc’ca’.
Si ‘abbusc’ca na panédda’ pure la donna che va ad infornare un pane dalla vicina che ha panificato e che ha un po’ di spazio nel suo forno, in certo senso ha dovuto chiedere e sottomettersi.

Nello stesso senso 's'abbusc'ca la jurnòta' l'operaio giornaliero che con il suo lavoro 's'abbusc'ca lu pòani' (si guadagna il pane), si deve sottomettere per avere un diritto.
Anche chi fa del male o non si comporta bene, ironicamente, ‘s’abbusc’ca nu sc’àffu o nu pùniju o li paléati’, nel senso che con le sue malefatte ‘se la va proprio a cercare’ la punizione con la sua cattiva condotta. 

Michelangelo Pucci    

 

 

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