cannìsti vacàndi

Féa’ li cannìsti vacàndi - adulare qualcuno a parole ma senza apportagli alcun utile - La modalità più ipocrita di intrattenere i rapporti sociali.

A Tortora era usanza della povera gente recarsi da un potente con un canestro, pieno di cose buone da mangiare, sia per ottenere per il suo tramite il riconoscimento di un diritto, sia per ringraziarlo dell’esito positivo della mediazione e sia, infine, per rendergli omaggio in occasione di ricorrenze particolari. 
La massaia prendeva il canestro più nuovo, ne rivestiva l’interno con una tovaglietta bianca ben pulita, vi riponeva i prodotti migliori del proprio orto, accompagnati da altri prodotti acquistati con sacrificio o “a credenza”: delle mozzarelle o una ricotta, un caciocavallo o un provolone, una soppressata o un capo di salsiccia rossa, lo ricopriva con un candido tovagliolo ricamato e lo mandava al destinatario. Era l’occasione in cui le “cose buone” passavano per la casa sotto gli occhi vogliosi dei bambini. 
Erano “li cannìsti chjìni”, proprie delle persone umili e semplici, ma serie.
Era usanza dei potenti, degli imbroglioni, degli ingannatori, degli adulatori limitarsi a ringraziare e a rendere omaggi con bellissime e lusinghiere parole, che riempivano la bocca di chi le profferiva pensando il contrario di ciò che diceva e le orecchie di chi le ascoltava. Il destinatario, salvo l’essere solleticato nella propria vanità e amor proprio, non ne traeva nessun utile concreto e continuava a rimanere a bocca asciutta e stomaco vuoto.
Erano “li cannisti vacanti”, proprie dei furbi e dei doppiogiochisti.
Oggi, grazie all’istruzione e al consolidamento della democrazia, sembra essere decaduto l’uso “di li cannìsti chjìni”, anche se c’è ancora qualche nostalgico che li vorrebbe ancora ricevere! Sembra invece proliferare l’uso “di li cannìsti vacànti” sulle quali si sviluppano i rapporti sociali e politici, con buona pace di tutti. 

Michelangelo Pucci

 

 

Go to top