Chjàcchjara

Voce onomatopeica, che riproduce il fitto parlottio delle 'comari', indica lo scambio di discorsi tra due o più persone su argomenti non impegnativi per passatempo.

‘Ghému fàtti dùji chjàcchjari’, abbiamo fatto due chiacchiere, così direbbero due amici che si sono incontrati al bar ed hanno passato un po’ di tempo insieme piacevolmente ricordando i bei tempi andati.
‘Su chjacchjari!’ Diciamo per consolare l’amico investito da ingiusti pettegolezzi invitandolo implicitamente a non dar peso alle malignità che si dicono alle sue spalle.
‘Dìci ssùlu chjàcchjari!’ commentiamo di uno che fa discorsi vuoti lasciando intendere che è capace di dire solo sciocchezze.
‘Quìru téni na chjàcchjara!’ quello ha una parlantina! Esclamiamo per definire bonariamente  chi ha la parola facile. Ma se diciamo ‘quìru teni ssùlu la chjàcchjara’ vogliamo tacciare qualcuno di verbosità inutile e inconcludente. Oppure ‘quìru sàpi fféa’ sùlu chjàcchjari’ per contrapporlo a chi non fa parole ma fatti.
Ma se siamo prossimi al Natale gradiamo ‘li chjàcchjari’, i dolci che prepara la nonna con strisce intrecciate di pasta all’uovo fritte e servite cosparse di zucchero a velo o di miele, che si consumano fra una chiacchiera (parola) e l’altra.

                                                                    Michelangelo Pucci

 

 

 

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