In seguito ad alterazione fonetica, 'altero' diventa 'a(v)utu' con la 'v' intervocalica ('al' diventa 'au‘, con la caduta di 'er' la 't' fa sillaba con 'o' poi 'u'), la preposizione 'cum' si abbrevia in 'cu' al quale si aggiunge l'articolo 'd'' apostrofato. Il risultato è 'cu d’a(v)utu’, 'cudàvutu'. Nel tortorese si usa in funzione avverbiale in associazione con il verbo ‘jì’, andare: ‘Jì cudàvutu’, andare (a lavorare) da altri con retribuzione.
Spesso era una forma di scambio di giornate lavorative fra proprietari terrieri. L’espressione era propria del coltivatore diretto proprietario agricolo che di solito lavorava nei propri campi e solo eccezionalmente prestava la propria opera a favore di altri. Ciò avveniva o nel caso del piccolo proprietario che aveva bisogno di entrate extra per integrare la rendita insufficiente della sua piccola proprietà o nel caso di coltivatori che, nelle attività che richiedevano molta manodopera, ne stabilivano una turnazione per avere la possibilità di aiutarsi a vicenda.
Capitava così, ad esempio nel periodo della trebbiatura, che un gruppetto di coltivatori trebbiava a turno, ciascuno in giorni diversi, per avere la possibilità di sostenersi a vicenda. In questo secondo caso era un modo per risparmiare la spesa della manodopera.
Michelangelo Pucci